Nato a Napoli il 25 febbraio 1873
Morto a Napoli il 2 agosto 1921
Figlio di un meccanico, era ancora bambino quando inizia a cantare da contraltista nelle chiese, apprendendo le prime nozioni di musica da vari maestri. A dieci anni è assunto come apprendista in un’officina meccanica.
A quindici dopo aver mutato la voce, si diletta a cantare per le strade, sulle rotonde degli stabilimenti balneari o nelle feste delle agiate famiglie borghesi napoletane.
Comincia a studiare regolarmente canto, con il maestro Guglielmo Vergine, nell'estate del 1891.
Dopo un’interruzione dovuta a un breve periodo di servizio militare, debutta ufficialmente il 15 marzo 1895 al Teatro Nuovo di Napoli, nella prima esecuzione di L'amico Francesco di Mario Morelli.
All'inizio deve combattere con alcune difficoltà sulla classificazione della voce, infatti, alcune limitazioni nel registro acuto, e alcuni dubbi sulla reale natura della voce, tanto da far pensare a una voce di baritono anziché di tenore, lo tiene lontano dai grandi teatri. Con alterni successi canta nel 1895 a Caserta in Faust, Camoëns di Pietro Musone e Cavalleria rusticana, a Napoli al Teatro Bellini Faust, Rigoletto, La traviata; al Teatro Saverio Mercadante, La traviata, Rigoletto, I Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini, Faust.
Si reca quindi in Egitto al Cairo, dove nei famosi giardini Ezbekjeh, si produce in Cavalleria Rusticana, Gioconda, Manon Lescaut e Rigoletto.
Nel 1896 ritorna a Napoli con le stesse opere dell’anno precedente, poi a Trapani e Marsala con Lucia di Lammermoor, Cavalleria rusticana, Malia di Francesco Paolo Frontini, Sonnambula, Rigoletto. Infine a Salerno, dove riceve una grande accoglienza in La favorita, Carmen e La traviata.
La strada del successo è ormai tracciata. Nel 1897 lo troviamo al Teatro Massimo di Palermo in La Gioconda con la direzione di Leopoldo Mugnone, al Teatro Goldoni di Livorno in La traviata e La bohème di Giacomo Puccini.
In occasione di queste recite livornesi, Enrico Caruso incontra il soprano Ada Botti Giachetti, sposata e madre di un bambino.
Ebbe con lei una relazione che durò circa undici anni. Ada gli diede due figli: Rodolfo (1898) ed Enrico Junior (1904).
Il 3 novembre del 1897 si esibisce per la prima volta a Milano al Teatro Lirico in La Navarraise (Araquil) di Jules Massenet, con Zina De Nuovina nel ruolo di Anita, cui seguiranno, il 10 novembre, Il voto di Umberto Giordano (Vito) e il ventitré dello stesso mese, la prima assoluta di L'Arlesiana di Francesco Cilea (Federico), il 31 dicembre chiude l’anno con Pagliacci (Canio) di Ruggero Leoncavallo.
Altre tappe importanti furono la scrittura al Carlo Felice di Genova per la stagione 1897-98, con La bohème (Marcello) di Ruggero Leoncavallo, con Rosina Storchio (Mimì) e Giuseppe De Luca (Colline), rappresentata il 20 gennaio 1898. Poi il 3 febbraio debutta in I pescatori di Perle (Nadir) con Regina Pinkert (Leila) e Giuseppe De Luca (Zurga).
Ritorna al Lirico di Milano l’8 marzo 1898 con La bohème di Ruggero Leoncavallo, Carmen (16 marzo) con Irma Monti Baldini, il 2 aprile, presenta la novità Hedda di F. Le Borne (Harald) diretta dall'autore, che fu quasi un fallimento. Il 22 ottobre riprende il ruolo di Federico in L'Arlesiana, poi quello di Marcello in La bohème di Leoncavallo.
Il 17 novembre crea il ruolo di Loris Ipanov nella prima assoluta di Fedora
musicata da Umberto Giordano, con Gemma Bellincioni nel ruolo del titolo, opera al cui trionfo Enrico Caruso contribuì con un'interpretazione rimasta leggendaria.
L’eco del successo arrivò in America, il “Musical Courier” scrisse, che quella voce venuta dal Sud, era la più bella mai sentita negli ultimi anni.
Da allora parola di Enrico Caruso “ i contratti scesero su di me come una fitta pioggia”.
Sempre al Teatro Lirico, il 6 dicembre interpreta il ruolo di Gianni Gaussin in Saffo di Jules Massenet a fianco di Gemma Bellincioni nel ruolo di Fanny Legrand.
Il primo contratto (seimila lire il mese), lo portò nell'inverno 1898-99, al Teatro Mariinskij di Pietroburgo in compagnia del baritono Mattia Battistini, il basso Vittorio Arimondi e il soprano Luisa Tetrazzini.
Nell'estate Enrico Caruso si fa conoscere al Teatro de la Opera di Buenos Aires, dove canta il ruolo di Osaka nell'Iris di Pietro Mascagni, che ripete con esito trionfale in autunno al Teatro Costanzi di Roma, unito a La Gioconda e Mefistofele con Emma Carelli nei due ruoli di Margherita ed Elena.
Nel marzo del 1899 Enrico Caruso replica a Milano i successi di Fedora.
Nel 1899-1900 ritorna a Pietroburgo, dove canta in numerose opere. Particolarmente importante il suo accostamento a Un ballo in maschera
e Aida, che qui debutta, la sera del 3 gennaio 1900 con Salomea Krusceniski nel ruolo del titolo e Mattia Battistini quale Amonasro.
Questi lavori, data la loro tessitura, impegnarono a fondo il suo registro acuto e, determinato l'ottimo esito, preparò in senso drammatico l'evoluzione vocale del tenore.
Dopo aver ottenuto un clamoroso successo, specie in Aida, anche a Mosca, il 18 maggio 1901 Caruso inizia la sua terza stagione a Buenos Aires affermandosi in Manon di Massenet e per la prima volta in Tosca con la creatrice del titolo Hariclea Darclée ed Eugenio Giraldoni quale Barone Scarpia.
Il suo debutto al Teatro alla Scala di Milano avvenuto il 26 dicembre 1900 come Rodolfo in La bohème di Giacomo Puccini, direttore Arturo Toscanini ed Emma Carelli nel ruolo di Mimì, lascia il pubblico e la critica assai freddi, tra l'altro, perché Enrico Caruso era indisposto.
Il successo tuttavia, non mancò alle repliche e, divenne entusiastico con la produzione di L’elisir d’amore.
Nella stagione 1901-1902 canta per la prima volta al Teatro di San Carlo a Napoli, dove fu molto acclamato in Manon di Jules Massenet, ciò nonostante, quando il 30 dicembre 1901 si presentò come Nemorino in L'elisir d'amore con Regina Pinkert nel ruolo di Adina (copia consacrata dell’Elisir scaligero), fu accolto molto più freddamente, principalmente dalla critica, una parte della quale contrappose alla sua, le interpretazioni che in precedenza aveva dato di quell'opera, il tenore napoletano Fernando De Lucia.
Amaramente deluso per le riserve mossegli proprio nel teatro della sua città, principalmente dal temuto barone Saverio Procida sul giornale “ Il Pungolo” (dove si firmava «p.c. dario»), Enrico Caruso decise, che non avrebbe mai più cantato a Napoli, promessa che fermamente mantenne.
Ecco di seguito riprodotto quasi integralmente, l’articolo “ incriminato” del barone Saverio Procida apparso sul giornale “ Il Pungolo”
1 gennaio 1902: “Diciamo la verità serena se non vogliamo togliere serietà al successo finale d' iersera. Tanto più che questa verità ridonda a beneficio dello stesso Caruso. Il giovane e fortunato Divo (se, parlo in genere, differissimo queste precoci beatificazioni, non sarebbe meglio per tutti, per la proprietà del linguaggio, per la misura dei giudizi, pel rispetto ai grandissimi interpreti morti e vivi, che sacrificarono molti anni e molto studio alla conquista dell'appellativo prelodato?) mi parve ieri sera, nel primo atto, atterrito dalla sua stessa fama, se ne risentì persino il buon metallo della sua voce; certo ne soffrirono la castigatezza del canto donizettiano e l'azione comica che il Caruso esagerò un tantino. Più tardi, gli applausi amabili rinfrancarono l'artista e noi potemmo, dopo che venne richiesto il bis del duetto finale del primo atto, e dopo che il cordiale saluto al proscenio rassicurò il tenore sulle intenzioni favorevolissime del pubblico, giudicarlo equamente. Ecco la mia impressione schiettissima: il Caruso ha una voce di valido timbro baritonale, di bel volume eguale, abbastanza estesa, gagliarda in certi suoni che costituiscono il segreto del suo successo teatrale, con note di una potenza rara. (Il suo Si bemolle è uno squillo nitido e di piena vibrazione argentina.) Ma pari alle qualità naturali di un organo privilegiato, a me non risulta il possesso di una sapienza tecnica che disciplini codesti spontanei doni e renda più pastosa la voce, più eguale la successione dei suoni, più elastiche le agilità d'un canto leggero e fiorito come quello dell' Elisir, più impeccabili i passaggi, più precisa l'intonazione, che ieri, e mi auguro per la commozione del debutto, fu talvolta incerta: insomma, io non scorgo ancora nel Caruso l'artista che stia all'altezza cui lo colloca la fama e lo destinerebbe un organo singolarmente dotato. E c'è di più. lo non so perché il Caruso si ostini a cantare la musica di mezzo carattere come l'Elisir. So bene: alla Scala di Milano ebbe un successo strepitoso proprio in quest'opera frivola e leggiadra del sommo bergamasco. E che conta? Un artista deve studiare le proprie facoltà e non esaltarsi a un giudizio, mettiamo errato, di pubblico. Ora il Caruso dà colore e fiamma alla sua voce, non ancora levigata e domata, con un accento profondo, impetuoso di una stupenda passionalità. Accento che ieri sera gli valse un gran successo soltanto in fondo all'opera, dopo cioè la celeberrima “Furtiva lagrima” bissata da Caruso a furor di popolo. E con qualità così passionali, elementi di un temperamento drammatico così esplicito, egli s'illude di poter coltivare anche un tipo di musica che richiede una disciplina paziente, quasi glaciale, inesorabile della sua voce? Come si può curare contemporaneamente la esecuzione di una scala semitonale del “Barbiere” e di una violenta invettiva della “Tosca”, se non menomando la purezza del virtuoso nel tipico canto italiano, e la vibrazione iperbolica dei moderni drammaturghi melici? Occorrerebbe possedere la magistralità di uno Stagno, avere avvezzata la propria gola a tale elasticità, averla resa così duttile da non temere le insidie del doppio repertorio. Ma il Caruso, non si dolga della mia franchezza affettuosa, è ben lontano da quest'arte prodigiosa che ci dette i Duprez e i Tiberini e i Gayarre e gli Stagno e, per ora, deve optare per uno dei due generi. lo non gli consiglio certo il virtuosismo. Mi pare che lo stile adatto gli manchi, che non senta più quel modo di fraseggiare, tanto che a volte Nemorino ha il gesto, il fragore vocale e l'accento eroico di Raul o di Enzo Grimaldo. lo credo che il Caruso debba fissarsi in un genere drammatico che, senza levarsi all'eroico, spazi fra l'ardore della passione moderna. Accento caldo, vibrazione intensa, suono poderoso, costituiscono il bel patrimonio della sua voce, e ieri, nella romanza, l'accento di dolore fu così caldo, così schietto e l'innestò in certi ardui passaggi così bene, che non fece più dubitare della meta cui deve tendere il Caruso” .
Come si legge la recensione non fu poi così malevola da giustificare la perentoria decisione di Enrico Caruso.
Il 1902 fu l'anno del debutto a Montecarlo con La bohème di G. Puccini (1 febbraio, con Nellie Melba) e Rigoletto.
L'11 marzo, Enrico Caruso torna per l’ultima volta alla Scala di Milano, dove crea il ruolo Federico Loewe nella prima assoluta di Germania di Alberto Franchetti diretto da Toscanini e, con Amelia Pinto (Ricke) e Mario Sammarco (Carlo Worms).
A una replica di Germania assistettero i fratelli americani Fred e Will Gaisberg, factotum della casa discografica inglese “Gramophone Company” fondata nel 1898. Colpiti dalla bellezza della voce del tenore, decisero di impegnarlo per l'incisione di alcuni brani per la casa discografica.
Fu dunque al Grand Hotel di Milano, che l’11 aprile 1902, furono incisi i primi dieci brani dati al disco da Enrico Caruso.
Per tale compito incassò il pattuito compenso di cento sterline dando inizio alla storia del disco.
Nel maggio 1902, presentato dal baritono Antonio Scotti (idolo dei londinesi) "accontentandosi", su consiglio del baritono, di un compenso di centosessanta sterline a recita, Enrico Caruso debutta con enorme successo al Covent Garden di Londra, dove si produce in Rigoletto con Nellie Melba e il baritono Maurice Renaud, alla presenza della regina (il 14 maggio). Il critico del “Daily News” ebbe a scrivere di Enrico Caruso: “Rarità mandata dal cielo”.
La bohème con Nellie Melba (24 maggio), Lucia di Lammermoor con Regina Pacini (4 giugno), Aida con la statunitense Lillian Nordica (6 giugno), L’elisir
d’amore (14 giugno), Cavalleria rusticana con il soprano Emma Calvé (28 giugno), La traviata (4 luglio), Don Giovanni (Don Ottavio) con Maurice Renaud (Don Giovanni), Antonio Pini-Corsi (Leporello), Félia Litvinne (Donna Anna) e Suzanne Adams (Donna Elvira) (19 luglio).
Nelle sue memorie Félia Litvinne ricorda così quella sera: “La voce di Caruso sgorgava come un fiume d’oro”.
Ciò prova che nel repertorio mozartiano apparentemente inadatto alle sue doti, Enrico Caruso seppe eccellere.
Al Covent Garden fu scritturato continuamente fino al 1909 e poi nel 1913 e 1914.
Il 6 novembre 1902 Enrico Caruso crea al Lirico di Milano, il ruolo di Maurizio di Sassonia, nella prima esecuzione assoluta dell'opera Adriana
Lecouvreur di Francesco Cilea con il soprano Angelica Pandolfini (Adriana), Giuseppe De Luca (Michonnet) e con la direzione di Cleofonte Campanini.
Negli intervalli tra una recita e l'altra, Enrico Caruso incide altri dieci dischi per la "Gramophone" comprendenti brani d’opera e romanze da salotto.
L'anno seguente Caruso fece conoscere Adriana Lecouvreur anche a Lisbona (Teatro São Carlos), Buenos Aires e Rio de Janeiro.
La sera del 23 novembre 1903, ebbe luogo l'avvenimento più importante della carriera di Enrico Caruso, il debutto al Teatro Metropolitan di New York, nel ruolo del Duca di Mantova in Rigoletto.
Il debutto di Enrico Caruso, fu preparato dal teatro nei minimi particolari.
Il palcoscenico era stato ingrandito e la buca dell’orchestra infossata perché la visione degli artisti fosse perfetta da ogni ordine di posti. Nelle poltrone e nei palchi i più bei nomi dell’aristocrazia finanziaria americana: Morgan, Astor, Vanderbilt, Roosevelt… Sul palcoscenico il baritono Antonio Scotti nel ruolo del titolo e il soprano Marcella Sembrich in quello di Gilda, nonostante tutto questo, l’accoglienza per il debutto americano di Enrico Caruso, fu piuttosto tiepida. Seguirono Aida (30 novembre), Tosca (2 dicembre), La bohème (5 dicembre), con successo sempre crescente.
Furono tuttavia, le recite di Pagliacci (9/14 dicembre e 2/15 gennaio 1904) che consacrarono il successo di Enrico Caruso al Metropolitan.
In una sua recensione di questa edizione di Pagliacci il critico dell’«Evening Post», il potente Henry T. Finck, giudicò Enrico Caruso il miglior tenore italiano apparso a New York dopo il ritiro di Italo Campanini.
La coppia Caruso - Sembrich cantò ancora in La traviata (23 dicembre).
Lucia di Lammermoor (8 gennaio 1904), L’elisir d’amore (23 gennaio).
Il 10 febbraio 1904 Lucia di Lammermoor chiuderà il ciclo delle ventinove recite al Metropolitan cantate nella stagione da Enrico Caruso.
Giunto a questo punto, Enrico Caruso aveva conquistato al Metropolitan una posizione preminente, che si protrarrà ininterrottamente fino al dicembre 1920. Avrebbe potuto durare ancora lungamente, se il grande tenore non fosse stato colpito dal terribile male, che l’anno successivo, lo porterà alla morte.
Il 10 marzo del 1904 Enrico Caruso, a Monte Carlo interpreta il ruolo di Rodolfo in La bohème, al suo fianco nel ruolo di Mimì, il ventiduenne soprano statunitense Geraldine Farrar.
In aprile è a Parigi, in un teatro, il Sarah Berhardt, esauritissimo nonostante i prezzi proibitivi, dove esibisce il suo Duca di Mantova a fianco della bellissima Gilda, Lina Cavalieri.
Nello stesso anno canta a Barcellona (Rigoletto, con scarso successo), a maggio, Praga e Dresda e la stagione al Covent Garden aperta il 17 maggio con Rigoletto, si prolungò fino al 25 luglio (Traviata).
Il 7 settembre 1904 nasce il suo secondogenito Enrico Junior.
Nella sua seconda stagione al Metropolitan Enrico Caruso canta in Aida con Emma Eames (21 novembre 1904), poi con la compagnia del Metropolitan attraversa gli Stati Uniti da costa a costa terminando il “tour” a Los Angeles con Lucia di Lammermoor il 18 aprile 1905.
Il 13 maggio 1904 si ripresenta a Parigi, nuovamente a fianco di Lina Cavalieri e Titta Ruffo, come Loris Ipanoff in Fedora per una platea che comprendeva i compositori, Maurice Ravel, Claude Debussy, Jules Massenet e Camille Saint-Saëns.
Nell'autunno del 1905 alla sua terza stagione con il Metropolitan trionfa in La Gioconda con Lillian Nordica (20 novembre), La sonnambula (15 dicembre), poi Faust con Pol Plançon ed Emma Eames (3 gennaio 1906) e Carmen (5 marzo), entrambi in francese.
A marzo inizia la rituale tournée del Metropolitan nel continente americano.
Viene invitato alla Casa Bianca da Theodore Roosevelt che gli fa dono di una foto con dedica.
Il 17 aprile 1906 canta il ruolo di Don José in Carmen a San Francisco, dove alle 5 e 12 minuti del 18 aprile si verificò l'indimenticabile disastroso terremoto.
Enrico Caruso fu sorpreso dal terremoto all'Hotel Palace, si rifugiò in seguito a casa di un amico: Arthur Backman. Nell'occasione Caruso ebbe modo di dichiarare: “Avevo paura, come tutti, ma non ho perso la testa”. Nel rovinoso incendio che seguì il terremoto, andarono perse le scene e costumi della compagnia per un valore di ventimila dollari.
Il 26 aprile s’imbarca per l’Europa.
A metà maggio canta in Rigoletto al Covent Garden, dove rimane per la stagione fino al 26 luglio.
Il 6 ottobre è a Vienna ancora in Rigoletto con Titta Ruffo nel ruolo del titolo, poi sempre con la stessa opera il 9 ottobre è a Berlino e il 16 ad Amburgo. Il Kaiser Guglielmo, lo nomina “Cantante di Camera imperiale”.
il 25 ottobre, a Parigi, gli è assegnata la “Legion d’Onore”, che si aggiungerà alla croce di “Grande Ufficiale della Corona d’Italia” ottenuta nel 1903 in Italia.
Al suo rientro negli Stati Uniti, Enrico Caruso fu protagonista di un increscioso episodio, che lo turbò moltissimo.
Nel pomeriggio del 17 novembre 1906, stava passeggiando tra gli ombrosi viali di Central Park a New York, quando incuriosito, sostò presso la gabbia delle scimmie, che allora si mostrava al Central Park, quando una donna (tale Hannah K. Graham) accusandolo di averle “toccato” il sedere, lo fece arrestare. Enrico Caruso confuso e allibito si dichiarò assolutamente estraneo al fatto, tuttavia dovette subire l'arresto. Uscì dalla cella pagando una cauzione di 500 dollari. Ciò nonostante, dovrà sottoporsi al processo, che seppure l’accusatrice fosse ormai scomparsa e, molti testimoni si contraddissero, Enrico Caruso fu ritenuto ugualmente colpevole e condannato a un’ammenda di dieci dollari, il minimo previsto dalla legge.
Tra calunnie, insinuazioni, ma anche solidarietà da parte di colleghi e uomini famosi, Enrico Caruso la sera del 28 novembre cantò in La bohème al Metropolitan dove, alla sua "uscita", scoppiò una delle più assordanti ovazioni registrate dalle cronache del Metropolitan. Era la vera sentenza.
Il giorno successivo Enrico Caruso dette una festa al Savoy.
Ritorna in Europa, a Londra per La bohème e Madama Butterfly.
A Milano, si sottopone a un piccolo intervento, per rimuovere dei noduletti dalla laringe.
Il 2 ottobre è a Budapest per Aida, che fu un insuccesso, poi a Vienna, Lipsia, Amburgo, Francoforte e a Berlino, dove quasi trentamila richieste di biglietti rimangono inevase.
Il 13 novembre 1907 ritorna a New York con il transatlantico “Oceanic”. Al suo arrivo occuperà le stanze 1123, 1125, 1127, 1129, dell’Hotel Plaza.
Per la nuova stagione Caruso ottenne dal Metropolitan un nuovo contratto (duemila dollari a recita), dove tra l’altro, cantò in Iris e il trovatore.
Al suo ritorno in Europa (21 maggio 1908) a bordo del “Regina Vittoria” riceve un cablo che annunciava la morte del padre Marcellino.
A Londra canta all'Albert Hall con Nellie Melba, a Parigi in Rigoletto diretto dal maestro Tullio Serafin che era a inizi carriera.
Durante l’estate l’amata Ada, lo lascia per il suo l’autista, episodio, che segnò profondamente, la vita di Enrico Caruso. Affronterà per questo, a Milano nell'ottobre del 1912, un penoso processo durato quattro giorni e che si concluse, con l’affermazione delle ragioni di Enrico Caruso.
Il 24 ottobre conclude a Berlino una tournée tedesca.
Dal 3 novembre 1908 Caruso, è a New York, qui cambia residenza, si trasferisce all'hotel Knickerbocker.
Inizia un’altra stagione al Metropolitan con la nuova gestione guidata da Giulio Gatti-Casazza e Arturo Toscanini. L’apertura annunciata per il 16 novembre con Aida, oltre a Caruso, aveva come protagonista Emmy Destinn nel ruolo del titolo. Fu un trionfo che Enrico Caruso divise equamente con Arturo Toscanini.
Nei primi giorni dell’anno 1909, Enrico Caruso, organizza a New York una sottoscrizione, aperta personalmente con ottomila dollari, per i terremotati di Messina e Reggio Calabria.
Nella prima settimana della stagione 1908-09 aveva cantato sei volte in otto giorni, in diverse opere e nel mese di dicembre dodici volte, ma poi qualcosa nella voce non andava bene e, gradualmente il numero delle recite iniziò a diminuire.
Il 14 aprile 1909 con il transatlantico britannico “Mauritania” torna in Europa.
A fine maggio a Milano il professor Della Vedova gli diagnostica una “laringite ipertrofica nodulare” provocata dagli sforzi, quindi gli sono rimossi dei noduli sulla corda vocale sinistra.
Dopo una lunga vacanza, all'inizio di agosto canta in concerto al Kursaal di Ostenda davanti a diecimila spettatori, poi una tournée in Scozia, Irlanda e Inghilterra. Alla Royal Albert Hall di Londra il 18 settembre con Sir Thomas Beecham sul podio e, poi Carmen a Berlino il 19 ottobre.
Il 6 novembre 1909 negli studi della Casa Discografica Victor, a Camden nel New Jersey, Enrico Caruso incide per la prima volta una canzone napoletana, Mamma mia che vò sapè, di Ferdinando Russo.
In questo periodo, il tenore riceve alcune minacce mafiose con precise richieste di denaro, fortunatamente sventate dalla polizia. La vicenda lascia però dei residui risentimenti da parte della mafia americana. Durante la stagione del Metropolitan, inaugurata il 15 novembre con La Gioconda, Enrico Caruso, che interpreta il ruolo di Enzo Grimaldo a fianco di Pasquale Amato (Barnaba) e di Emmy Destinn (Gioconda), riceve alcune gravi minacce anonime, un episodio, che farà aumentare, le già ferree misure di sicurezza attorno al tenore.
Fortunatamente Enrico Caruso, concluse sano e salvo la stagione, senza però sforzare eccessivamente la voce limitandosi a ventotto recite in nove ruoli diversi.
Nel maggio del 1910 il Metropolitan inizia una tournée a Parigi con Enrico Caruso, Arturo Toscanini e Lucrezia Bori.
I prezzi dei biglietti erano talmente esagerati, tanto che, all'organizzatore francese Gabriel Astruc, la tournée del Metropolitan a Parigi, fruttò un favoloso incasso di 594.978 franchi.
La sera del 18 maggio, Caruso ebbe inoltre anche l’occasione di cantare al “Trocadero” per beneficenza.
Dopo il consueto riposo estivo a villa Bellosguardo e a Napoli, lo troviamo a settembre, in Belgio e Germania, dove canta Carmen a Monaco e a Berlino alla presenza di Guglielmo II°, che corse a riascoltarlo.
Con L’Armida di Gluck (Rinaldo) il 14 novembre 1910, apre la stagione 1910-11 del Metropolitan, ruolo per lui certamente insolito.
Il 10 dicembre crea il ruolo di Dick Johnson nella prima assoluta di La Fanciulla del West di Giacomo Puccini, diretto da Arturo Toscanini e con Pasquale Amato (Jack Rance) ed Emmy Destinn (Minnie). Presenti in teatro Giacomo Puccini e l’autore del dramma originale, lo scrittore David Belasco.
Ci furono quarantasette chiamate (alla quinta Puccini fu incoronato con un serto d’argento).
Enrico Caruso cantò in tutto ventisei volte quest’opera, portandola pure in Francia e in Germania.
Dopo la recita del 6 febbraio 1911 di Germania di A. Franchetti, Caruso da “forfait”, e non canta nelle altre quattro recite a causa di una fastidiosa laringite che lo costringe a chiudere in anticipo la “stagione”.
Il tenore si trasferisce a Londra e poi in giugno in Italia.
A settembre canta con enorme successo in Carmen e Rigoletto a Vienna, con la direzione di un giovane Bruno Walter.
Durante la stagione 1911/12 del Metropolitan Enrico Caruso canta in quarantanove recite tra New York e le altre città americane toccate dal tour del Metropolitan.
Nell'aprile del 1912, a sud di Terranova, affonda il transatlantico Titanic, portandosi negli abissi 1653 passeggeri, il tenore scosso dalla notizia si esibisce in un concerto di beneficenza.
Quando fu il momento di ritornare in Europa, Enrico Caruso risalì sulla nave non senza un insolito timore.
A maggio si presenta a Parigi con Rigoletto e Fanciulla del West con il baritono Titta Ruffo.
Continua poi il suo tour europeo tra Austria e Germania, toccando le città di Vienna, Monaco, Stoccarda, Berlino, Amburgo, Potsdam, raccogliendo grandi successi e onorificenze.
L’11 novembre 1912 a fianco del soprano spagnolo Lucrezia Bori apre la nuova stagione del Metropolitan con Manon Lescaut di Giacomo Puccini.
La stagione scorre in assoluta tranquillità.
In questo periodo tratta con Arrigo Boito e Ricordi, una sua partecipazione alla prima assoluta di Nerone di Arrigo Boito, prevista per il 1913 a Milano. Enrico Caruso si rende disponibile, ma l’attesa “prima” saltò senza sua colpa. (come sappiamo, l’opera rimase incompiuta per la morte dell’autore e venne rappresentata in prima assoluta a Roma, completata da Antonio Smareglia, il primo maggio del 1924 con il tenore Aureliano Pertile nel ruolo del titolo.
Nella primavera del 1913 canta davanti a una platea di carcerati, nel penitenziario di Atlanta, in Georgia.
Recuperato il suo intensissimo abituale ritmo di rappresentazioni, incapace com'era di risparmiarsi, in una di queste occasioni ebbe modo di dire:
“Io so che canterò solo per un certo numero di anni, così mi dico sempre: stasera tratterò la voce, voglio risparmiarla un poco, per poter cantare un paio di volte in più. Ma poi quando mi trovo davanti al pubblico, quando sento la musica e incomincio a cantare, non posso trattenermi, do il meglio di me, do tutto”.
Prima di rientrare in America canta ancora a Vienna, Monaco, Stoccarda, Berlino e Amburgo, dove il 2 novembre canta in La Fanciulla del West.
Il 17 novembre era già a New York per La Gioconda con Emmy Destinn, affronta poi un nuovo ruolo Julien di Gustave Charpentier, ma l’opera delude nonostante l’impegno di Caruso e di Geraldine Farrar.
Il 23 dicembre si trova a Filadelfia per una recita di La bohème, durante la recita il basso Andrés De Segurola, al momento in cui doveva cantare “Vecchia zimarra”, ebbe un improvviso abbassamento di voce, fu allora, che senza perdersi d'animo, Enrico Caruso lo rimpiazzò, cantando l'aria da dietro le quinte. Perseguitato per anni dall'etichetta di baritono, dimostrò che, lui tenore, sapeva cantare anche da basso. Questo episodio lo divertì talmente che accettò di incidere l’aria con il patto però, di non pubblicarla. Molti anni dopo Frances Alda (la Mimì di quella serata), mise a disposizione della RCA Victor, che non possedeva più la matrice, il suo provino del disco, e così “Vecchia zimarra” cantata da Caruso, venne pubblicata.
Una Tosca e quaranta chiamate conclusero la stagione di New York.
Un’altra Tosca il 29 giugno 1914 vide la sua ultima apparizione a Londra.
Mentre il tenore si riposava nel suo “ritiro” di Bellosguardo, scoppia la prima guerra mondiale.
Il 30 luglio s’incontra con Ruggero Leoncavallo che gli propone di cantate nella prima della sua nuova opera Avemaria al Teatro San Carlo di Napoli, ma per la ben nota vicenda, Caruso rifiuta l'offerta, scontentando il musicista, tanto che l’opera rimase incompiuta.
Bloccato dalla guerra in un’Italia ancora neutrale, Il 19 ottobre volle cantare al Costanzi di Roma, in una serata speciale per i rimpatriati, assieme ai colleghi, Mattia Battistini, Lucrezia Bori, Angelo Badà, Giuseppe De Luca e Riccardo Tegani e i direttori Luigi Mancinelli e Arturo Toscanini, Caruso canta nel primo atto di Pagliacci diretto da Toscanini e il successo fu trionfale.
Nell'autunno il Metropolitan ricongiunge come può quasi tutti gli artisti sparsi per l’Europa per una stagione molto difficile che fu anche l’ultima di Toscanini in quel teatro. Enrico Caruso si presenta con una stupenda interpretazione di Un ballo in maschera e convince pienamente anche negli altri ruoli.
Chiude ufficialmente la “sua” stagione al Metropolitan il 2 febbraio 1915, mentre usualmente cantava fino ad aprile-maggio, per recarsi a Montecarlo isola felice nel disfacimento che stava subendo tutta l’Europa in guerra.
A Montecarlo canta in Aida con la cinquantaseienne Félia Litvinne, che ebbe esiti contrastanti, si parlò di delusione generale e di come ormai Caruso fosse invecchiato, tuttavia nelle successive sere con Rigoletto, Lucia di Lammermoor e Pagliacci, Enrico Caruso fu se stesso e gli “spensierati” di Montecarlo lo osannarono.
Dall'Italia lo invitarono a cantare per le vittime del terremoto che il 13 gennaio aveva sconvolto Avezzano, ma rifiutò, perché era Napoli la sede fissata per il concerto, in compenso, inviò un generoso assegno.
L’impresario Walter Mocchi gli propone di tornare a cantare a Buenos Aires e a Montevideo dove mancava dal 1903, preoccupato per il viaggio, visti i mari insicuri, il tenore non aveva nessuna voglia di partire, così per non irritare il potente Walter Mocchi con un rifiuto, gli sparò una richiesta che considerava inaccettabile, trecentomila lire in oro per dieci recite (al Metropolitan incassava 2500 dollari a recita circa quindicimila lire). Walter Mocchi lo informò che gli argentini accettavano di pagare quella cifra, versandogli anche un anticipo di centomila lire.
Il 20 maggio 1916, il tenore era presente al Teatro Colón di Buenos Aires, come Radamès in Aida, ma fu ancora una delusione, i consensi furono tutti per Rosa Raisa.
Enrico Caruso non ammise mai personali errori d’arte e, infuriato minacciò di andarsene, ma tutto si ricompose dopo le recite a lui ormai più congeniali Pagliacci e Manon Lescaut.
Il 16 agosto a Montevideo in Uruguay, tirò le somme della tournée, contando più di trenta recite.
Il 24 maggio 1915 l’Italia entra in guerra, un accorato messaggio di Arturo Toscanini, gli offre l’opportunità di ripresentarsi al pubblico italiano con due recite di Pagliacci al Dal Verme di Milano con incasso devoluto alla Croce Rossa. (23 e 26 settembre) gli altri protagonisti erano, Claudia Muzio (Nedda), Luigi Montesanto (Tonio), Armand Crabbé (Silvio) e Angelo Badà (Peppe), direttore Toscanini. Le due recite segnarono in immaginabile tutto esaurito che procurò un incasso di quarantaduemila lire. Il direttore della “Gazzetta dei Teatri” Carlo D’Ormeville scrisse su Caruso:
“…voce calda e brillante, accento impulsivo e travolgente, fraseggio scultoreo e imperioso…”
Mentre in Italia infuriava la guerra, Enrico Caruso ritorna in America e, la sera del 15 novembre debutta in Samson et Dalila di Camille Saint-Saëns (in lingua francese) con il mezzosoprano Margarethe Matzenauer quale Dalila. Un esame per i tenori “di forza” che supera brillantemente in un’onda di entusiasmo.
Nel febbraio del 1916 ancora Rigoletto e Carmen (17 febbraio) con Geraldine Farrar.
In aprile a Boston, ennesima delusione in Aida.
Nell'estate Caruso si rifugia con i figli a villa Bellosguardo.
Sull'emozione per l’affondamento del transatlantico “Lusitania” anche gli Stati Uniti entrarono in guerra, l’entusiasmo americano per la guerra contagia Caruso che chiude la stagione del Metropolitan con Rigoletto.
Da allora sentendosi figlio di due “patrie”, ritenendo ormai gli Stati Uniti, la sua seconda, si spende a favore delle iniziative propagandistiche, canta per la causa, dona di “suo” e raccoglie fondi. Fu quello forse il suo più elevato periodo di popolarità.
Impedito dalla guerra, rinuncia alle vacanze estive in Italia e, il 10 maggio 1917 salpa con il “Saga” per una tournée nell'America Latina, eseguendo tra l’altro Manon di Massenet con Gilda Dalla Rizza al Municipale di São Paulo del Brasile in lingua francese, mentre lei che sostituiva Ninon Vallin, non conoscendo la parte in francese, cantò in italiano.
Solleva la furia degli anti germanici la sua intenzione di esibirsi a Rosario (Argentina) in un teatro di proprietà tedesca, tanto, che alla vigilia della recita, il teatro fu attaccato e distrutto.
Il suo ritorno a New York, coincise con la “rotta” di Caporetto.
Tra il novembre 1917 e l’aprile 1918, Caruso interpreta dodici ruoli differenti. Il 12 gennaio del 1918 è Flammen in Lodoletta di Pietro Mascagni, il 7 febbraio debutta nel ruolo di Giovanni di Leyda in Il profeta di Giacomo Meyerbeer (in francese). La parte drammatica e rischiosa per la sua voce, gli procura un successo convincente e assoluto, reso ancora più gratificante, essendo stata l’opera, un cavallo di battaglia del grande rivale polacco Jean de Reszke. Meno fortunato il debutto in L’amore dei tre re di Italo Montemezzi (14 marzo), opera mai più ripresa dal tenore.
Le apparizioni al Metropolitan vennero in questi anni spesso intervallate da concerti in favore della Croce Rossa, dell’ospedale italiano di New York, delle famiglie dei richiamati italiani, dei soldati ciechi, del Fondo della Marina statunitense, ecc. Saldò con un anticipo di diversi mesi il proprio debito con il fisco che ammontava a 59.832 dollari “È il mio dovere” disse “E può servire da esempio”.
Nel giugno del 1918 firma un contratto per girare due film “muti” in sei settimane per un compenso di duecentomila dollari. “My Cousin” e “The splendid Romance”. I risultati furono molto mediocri ed economicamente fu un disastro, ma il mito del tenore non ne risentì.
Il 20 agosto 1918 sposa nella chiesa della Collegiata di New York la signorina Dorothy Benjamin che aveva vent’anni meno di lui. Appena sposati, rinunciarono al viaggio di nozze e presero alloggio nell'albergo Knickerbocker. Alle otto stanze riservate a Caruso, fu aggiunto un appartamento per Dorothy.
La prima apparizione in pubblico dopo il matrimonio, Caruso e signora la fecero il 31 agosto 1918, davanti a centocinquantamila persone in un parco di Brooklyn, dove il tenore cantò per beneficenza “Over There” raccogliendo trecentomila dollari in favore dei riservisti della polizia. Complessivamente gli incassi per le recite di beneficenza fatte da Caruso negli anni della guerra superarono i ventuno milioni di dollari.
Arriva la pace e una settimana dopo l’armistizio, l’11 novembre 1918 Enrico Caruso inaugura la nuova stagione del Metropolitan con un trionfale
Samson et Dalila, dove il tenore ancora in abiti da scena levò alto il tricolore italiano e Louise Homer (Dalila) si avvolse in una bandiera a stelle e strisce. Il direttore Pierre Monteaux rievocò quella serata con toni di stupore per la bravura del tenore napoletano.
Il 15 novembre al Metropolitan, Enrico Caruso affronta per la prima volta La forza del destino con l’esordiente ventunenne soprano statunitense di origini italiane Rosa Ponselle, nel ruolo di Donna Leonora.
Il 22 marzo 1919 il Metropolitan organizza una grande festa per i venticinque anni di carriera del tenore, Maria Barrientos, Antonio Scotti, Adam Didur, Claudia Muzio, Giuseppe De Luca, Margarethe Matzenauer si alternano a fianco di Enrico Caruso in brani da L’elisir d’amore, Pagliacci,
Il Profeta.
Nello stesso mese la moglie Dorothy è battezzata, abbracciando la religione cattolica. Poco dopo gli sposi “anglicani” poterono unirsi nel rito cristiano nella chiesa di St. Patrick.
Nell'estate Caruso passa le vacanze in Italia.
Nell'autunno del 1919, il tenore parte per una faticosa tournée nel Messico straziato dalla guerra civile, per settemila dollari a recita. Il 29 settembre canta in L'elisir d’Amore all'Esperanza di Città del Messico, il 2 ottobre Un ballo in maschera che fu suo malgrado un insuccesso, causa lo straziante soprano Clara Elena Sancez.
Il 5 ottobre canta sotto un tremendo nubifragio e con l’ombrello in Carmen
nell'arena delle corride davanti a ventimila persone. Conclude la Tournée cantando dodici recite in un mese, nonostante l’emicrania che lo perseguitava.
La sera del 22 novembre 1919 Caruso con un esito strepitoso, al Metropolitan, debutta il ruolo di Éléazar in La Juive di Fromental Halévy.
Le critiche furono entusiastiche.
Irving Kolodin:
“Il più grande trionfo artistico della vita di Caruso”.
W.J.Henderson:
“Dignità e bellezza nella sua cantilena”.
Henry Krehbiel:
“È forse la prima volta che un personaggio tragico è reso da Caruso con tanta verosimiglianza”.
Coinvolti nel tripudio Rosa Ponselle (Rachel) e il maestro Artur Bodanzky. Il baritono Titta Ruffo, presente alla recita, ebbe a dire:
“…Egli fu immenso. Seppe comporsi una maschera così piena di dolore e di pensiero, accennò l’angoscia dell’anima con una espressione così misteriosamente suggestiva, che molti spettatori piangevano. Ed io ero tra quelli .“
Il 18 dicembre 1919 nasce Gloria l’attesissima figlia.
Limitò, anche a causa di una fastidiosa bronchite, i suoi impegni primaverili a qualche concerto e a tre apparizioni ad Atlanta, ma non seppe rinunciare a un invito dell’impresario Adolfo Bracale, a Cuba, che gli offriva diecimila dollari a recita. L’esperienza cubana fu estenuante, per il caldo, le continue emicranie, le lamentele del pubblico per il prezzo dei biglietti troppo alto. Dopo Marta di F. Flotow (Avana 12 maggio 1920) che pure al pubblico era piaciuta, le recensioni furono insolenti e lo portarono ad un passo dall'abbandono clamoroso.
Il 12 giugno sempre all'Avana durante il secondo atto di Aida, mentre erano in palcoscenico Gabriella Besanzoni e la messicana Maria Escobar, e Enrico Caruso attendeva il momento del suo ingresso in scena, una forte esplosione sconquassò il teatro, fortunatamente, senza troppi danni, si accerterà trattarsi di un attentato dinamitardo d’incerta origine.
Le ultime tappe cubane furono a Santa Clara e Cienfuegos.
A giugno canta ad Atlantic City e a New Orleans.
Il 16 settembre 1920 a Camden, New Jersey, incide cinque brani, gli ultimi due dalla Petite Messe Solennelle di Rossini. Era l’ultima registrazione della sua vita.
Avviò l’ennesimo giro, con puntate in Canada.
Il 15 novembre 1920, nuova stagione al Metropolitan con La Juive. Il giorno 18 novembre, concluso l’ennesimo Elisir d’amore, il critico Aldrich sul “New York Times” fu molto duro:
“Ha ignorato ogni regola, ha tentato di rendere pesante e pretenzioso ciò che è semplice e immediato”.
Poi La forza del destino, Samson et Dalila, dove Caruso fu grandissimo, come ammise lo stesso Aldrich. Il successo di Sansone avrebbe segnato il preludio della fine.
La sera di sabato 11 dicembre 1920 Caruso era a Brooklyn all’Academy of Music, dove doveva cantare L’elisir d’Amore, alle diciannove e trenta mentre si stava truccando, ebbe un'improvvisa emorragia, sputò sangue per più di quattro ore. Ciò nonostante cantò tutto il primo atto dell’opera, più tardi l’opera fu sospesa dopo questo incredibile annuncio dell’addetto stampa del teatro, qui riportato precisamente:
“Alla base della lingua del signor Caruso si è rotto un vaso sanguigno, questo non gli impedisce di cantare ed egli insiste a voler continuare lo spettacolo qualora, come voi avete veduto, non vi spaventate del sangue. Lo volete voi?”
Fortunatamente un pubblico molto più responsabile della direzione e dello stesso Caruso, permise al tenore di sospendere la recita e di ritornare in albergo.
Questo gravissimo incidente, non fu tuttavia sufficiente per convincere il tenore a fermarsi, dopo il benestare del medico, e con la promessa di non fumare, cantò, infatti, e con enorme successo, la sera di lunedì 13 in
La forza del destino. Tre sere dopo cantò ancora in Samson e Dalila, che il “New York Times” definì: “di rara raffinatezza e bellezza” la sua interpretazione.
La sera della vigilia di Natale del 1920, al Metropolitan, Enrico Caruso canta per l’ultima volta nella sua vita in La Juive di Fromental Halévy e sarà la sua 863° presenza in quel teatro.
La mattina di Natale mentre distribuiva monete d’oro in dono agli impiegati del Metropolitan, è colto da tremendi dolori al fianco sinistro, il medico gli pratica un’iniezione di morfina. Uno specialista il dottor Evan Evans gli diagnostica una pleurite che poteva trasformarsi in polmonite, un successivo consulto confermò la diagnosi. Il 29 dicembre, nella stanza d’albergo trasformata in ospedale, gli praticarono una puntura pleurica. Il giorno 30, gli estrassero dal corpo quattro litri di liquido torbido e infetto.
Il 10 gennaio 1921 fu dichiarato convalescente. L’infezione ritornò ferocemente a febbraio, il giorno 12 il dottor Erdmann decide di intervenire sul polmone contratto, per farlo dovette segare una parte di costola.
La sera del 15 il cuore del tenore era molto debole, nel timore che cedesse improvvisamente, fu chiamato un prete per l’estrema unzione.
Il giorno 17 Caruso ebbe in lieve miglioramento, il 18 disse: “voglio morire nel mio paese”. Il primo marzo il dottor Erdmann, è costretto a incide un ascesso subfrenico nel polmone sinistro del tenore.
Enrico Caruso chiede di poter incontrare i colleghi.
Accorsero al suo capezzale, Antonio Scotti Lucrezia Bori, Rosa Ponselle, Nina Morgana, Titta Ruffo, Pasquale Amato e il giovane Beniamino Gigli, che Caruso considerava come il suo successore. Gigli scrisse nelle sue memorie: “Eravamo ai piedi del letto, sforzandoci di fingere allegria, ma molti avevano le lacrime agli occhi”.
Il 28 maggio 1921 ancora convalescente, decide di partire per l’Italia.
Centinaia di ammiratori salutarono il cantante al molo sette del porto di New York, dove s’imbarcò per Napoli sul transatlantico “Presidente Wilson” con Dorothy, la figlia Gloria e il fratello Giovanni, venuto negli Stati Uniti per assisterlo.
La nave arrivò a Napoli il 9 giugno.
Dopo un brevissimo soggiorno a Napoli, Caruso parte per Sorrento, dove prende alloggio nell'assolato albergo Vittoria. In quel luogo avrebbe voluto trascorrere un paio di mesi per poi recarsi a villa Bellosguardo, ma tra illusioni e repentine depressioni, quando, venne l’estate era ancora a Sorrento.
Tornata la febbre, su consiglio del baritono Giuseppe De Luca, fu richiesto un consulto al luminare della chirurgia italiana, il professor Raffaele Bastianelli, questi il giorno 29 agosto, si recò a Sorrento con il suo aereo personale assieme al non meno illustre fratello Giuseppe.
Visitato il paziente, fu concluso che il tenore aveva bisogno di un urgente intervento chirurgico (fu diagnosticata una vasta sacca purulenta all'altezza di un rene). Con Caruso si finsero ottimisti, ma con la moglie furono drastici, soltanto un’operazione può salvarlo, intervento che doveva esser fatto nella clinica del professor Bastianelli a Roma.
Inspiegabilmente si persero due giorni e, solo il primo agosto fu deciso di portarlo a Napoli, per proseguire poi per Roma.
In preda ad una febbre altissima, Enrico Caruso, s’imbarcò nel traghetto che faceva la spola tra Sorrento e Napoli. Le due ore di traversata furono per Caruso estenuanti.
Giunto all'Hotel Vesuvio, improvvisamente il tenore fu colto da lancinanti dolori.
Alle ore 17 dello stesso giorno fu tenuto un nuovo consulto con i medici napoletani più affermati, al quale partecipò anche illustre professor Giuseppe Moscati, la diagnosi fu concorde: ascesso subfrenico, cioè raccolto suppurativo tra il diaframma e il fegato; fenomeni peritonistici settici, cuore debolissimo, polso quasi nullo.
Il paziente ormai in stato terminale fu dichiarato inoperabile.
Nelle prime ore del mattino seguente Enrico Caruso ricevette l’estrema unzione da Monsignor Tonello.
Il “Mattino” di Napoli intitolava in prima pagina “Enrico Caruso è agonizzante”.
Alle ore nove e sette minuti di martedì 2 agosto 1921, il grande tenore Enrico Caruso si spegne per sempre.
Il “Mattino” esce in edizione straordinaria con il titolo a tutta pagina:
“La Voce divina s’è spenta”.
Toccò proprio al barone Saverio Procida scrivere l’epitaffio:
“….Dotato di una voce di stupenda robustezza (e per averne tecnicamente fissato il carattere, vent’anni fa, il grande artista mi votò un inestinguibile rancore, fino a non voler più cantare in Napoli e a non voler comprendere che nel mio rilievo c’era il maggiore elogio alla intensità della sua espressione drammatica), guidato da un sentimento che amplificava sempre il contenuto lirico del personaggio, sicuro dell’elasticità incomparabile dei suoni, che vibravano nella gola, perché erano temprati sulla sensibilità quasi morbosa del suo temperamento artistico, scevro di pregiudizi stilistici, che non arrestavano mai la fiamma di cui il napoletano autentico a dispetto della vernice transatlantica aspersa più sulle sue scarpe che sulla sua fantasia bruciava, tutto istinto e intuito, tutto estemporaneità di sensazione, il tenore che non ebbe emuli nel suo tempo e poté per antonomasia accettare per lui soltanto la lettera maiuscola della chiave in cui cantò, fu il prototipo del tenore moderno….Egli incarnò il realismo musicale…..fu il vocabolario della nuova lingua”.
Fu calcolato che il tenore guadagnò in carriera circa nove milioni di dollari, divenendo detentore assoluto del record dei guadagni tra i cantanti lirici.
Tra il 1903 e il 1920 incise quasi 250 facciate a 78 giri.
Con l’aria “Vesti la giubba” dall'opera Pagliacci, Enrico Caruso fu il primo interprete al mondo a superare la vendita di un milione di dischi.
REPERTORIO IN ORDINE CRONOLOGICO
Le prime rappresentazioni assolute sono contraddistinte da un asterisco (*)
1895
L’amico Francesco - di Domenico Morelli “L’amico Francesco”
Napoli: Teatro Nuovo, 15 marzo. (*)
Faust - di Charles Gounod “Faust”
Caserta: Teatro Cimarosa 28 marzo.
Stabat Mater - di Giovanni Battista Pergolesi “Tenore solista”
Caserta: Chiesa di S. Antonio, 5 aprile.
Cavalleria Rusticana - di Pietro Mascagni “Turiddu”
Caserta: Teatro Cimarosa, 23 aprile.
Camoëns - di Pietro Musone “Camoëns”
Caserta: Teatro Cimarosa, maggio.
Rigoletto - di Giuseppe Verdi “Il duca di Mantova”
Napoli: Teatro Bellini, 21 luglio.
La Gioconda - di Amilcare Ponchielli “Enzo Grimaldo”
Egitto, Il Cairo: Giardini Ezbekjeh, ottobre/novembre.
Manon Lescaut - di Giacomo Puccini “Il cavaliere Renato Des Grieux”
Egitto, Il Cairo: Giardini Ezbekjeh, ottobre/novembre.
La traviata - di Giuseppe Verdi “Alfredo Gérmont”
Napoli: Teatro Mercadante (già Fondo), 29 novembre.
I Capuleti e i Montecchi - di Vincenzo Bellini “Tebaldo”
Napoli: Teatro Mercadante (già Fondo), 7 dicembre.
1896
Lucia di Lammermoor - di Gaetano Donizetti “Sir Edgardo di Ravenswood”
Trapani: Teatro Garibaldi, 15 febbraio.
Malia - di Francesco Paolo Frontini “Nino”
Trapani: Teatro Garibaldi, 18 marzo.
La Sonnambula - di Vincenzo Bellini “Elvino”
Trapani: Teatro Garibaldi, 24 marzo.
Mariedda - di Gianni Bucceri “Piero”
Napoli: Teatro Bellini, 23 giugno.
I Puritani - di Vincenzo Bellini “Lord Arturo Talbot”
Salerno: Teatro Municipale, 10 settembre.
La Favorita - di Gaetano Donizetti “Fernando”
Salerno: Teatro Municipale, 22 novembre.
A San Francisco - di Carlo Sebastiani “Tore Pazzia”
Salerno: Teatro Municipale, 29 novembre.
Carmen - di Georges Bizet “Don José”
Salerno: Teatro Municipale, 6 dicembre
1897
Un dramma in vendemmia - di Vincenzo Fornari “Beppe”
Napoli: Teatro Mercadante (già Fondo), 6 marzo.
Celeste - di D. Lamonica & G. Biondi “Nando”
Napoli: Teatro Mercadante (già Fondo), 1 febbraio. (*)
Il profeta velato - di Daniele Napoletano “Azim”
Salerno: Teatro Municipale, 7 aprile.
La bohème - di Giacomo Puccini “Rodolfo”
Livorno: Teatro Goldoni, 14 agosto.
La Navarraise - di Jules Massenet “Araquil”
Milano: Teatro Lirico, 3 novembre.
Il voto (Rifacimento di Mala Vita) - di Umberto Giordano “Vito”
Milano: Teatro Lirico, 10 novembre. (*)
L’Arlesiana - di Francesco Cilea “Federico”
Milano: Teatro Lirico, 27 novembre) (*)
1898
Pagliacci - di Ruggero Leoncavallo “Canio”
Milano: Teatro Lirico, 31 dicembre.
La bohème - di Ruggero Leoncavallo “Marcello”
Genova: Teatro Carlo Felice, 20 gennaio.
I pescatori di perle - di Georges Bizet “Nadir”
Genova: Teatro Carlo Felice, 3 febbraio.
Hedda - di Fernand Le Borne “Harald”
Milano: Teatro Lirico, 2 aprile. (*)
Mefistofele - di Arrigo Boito “Faust”
Italia, Fiume - oggi Rijeka, Croazia: Teatro Comunale, 19 aprile.
Saffo - di Jules Massenet “Jean Gaussin”
Trento: Teatro Sociale, 4 giugno.
Fedora - di Umberto Giordano “Loris Ipanoff”
Milano: Teatro Lirico, 17 novembre. (*)
1899
Iris - di Pietro Mascagni “Osaka”
Argentina, Buenos Aires: Teatro de la Opera, 22 giugno.
La regina di Saba - di Karl Goldmark “Assad”
Argentina, Buenos Aires: Teatro de la Opera, 4 luglio.
Yupanki - di Arturo Berruti “Yupanki”
Argentina, Buenos Aires: Teatro de la Opera, 25 luglio. (*)
1900
Aida - di Giuseppe Verdi “Radamès”
Russia, Pietroburgo: Teatro Imperiale, 3 gennaio.
Un ballo in maschera - di Giuseppe Verdi “Riccardo”
Russia, Pietroburgo, Sala del Conservatorio, 11 gennaio.
La risurrezione di Lazzaro - Oratorio di Lorenzo Perosi “Lo storico”
Russia, Pietroburgo, Sala del Conservatorio, 13 febbraio.
Stabat Mater - di Gioachino Rossini “Tenore solista”
Russia, Pietroburgo, Sala del Conservatorio, 13 febbraio.
Maria di Rohan - di Gaetano Donizetti “Riccardo”
Russia, Pietroburgo, Sala del Conservatorio, 2 marzo.
Manon - di Jules Massenet “Le chevalier Des Grieux”
Argentina, Buenos Aires: Teatro de la Opera, 17 luglio
Tosca - di Giacomo Puccini “Mario Cavaradossi”
Treviso: Teatro Sociale, 23 ottobre.
1901
Le Maschere - di Pietro Mascagni “Florindo”
Milano: Teatro alla Scala, 17 gennaio. (*)
L'elisir d’amore - di Gaetano Donizetti “Nemorino”
Milano: Teatro alla Scala, 17 febbraio.
Lohengrin - di Richard Wagner “Lohengrin”
Argentina, Buenos Aires: Teatro de la Opera, 7 luglio.
1902
Germania - di Alberto Franchetti “Federico Loewe”
Milano: Teatro alla Scala, 11 marzo. (*)
Don Giovanni - di Wolfgang Amadeus Mozart “Don Ottavio”
Inghilterra, Londra: Covent Garden, 19 luglio.
Adriana Lecouvreur - di Francesco Cilea “Maurizio di Sassonia”
Milano: Teatro Lirico, 6 novembre. (*)
1903
Lucrezia Borgia - di Gaetano Donizetti “Gennaro”
Portogallo, Lisbona: Teatro São Carlos, 10 marzo.
1905
Gli Ugonotti - di Giacomo Meyerbeer “Raoul de Nangis”
U.S.A., New York: Teatro Metropolitan, 3 febbraio.
Madama Butterfly - di Giacomo Puccini “F. B. Pinkerton”
Inghilterra, Londra: Covent Garden, 10 luglio.
1906
Marta - di Friedrich von Flotow “Lionello”
U.S.A., New York: Teatro Metropolitan, 9 febbraio.
1907
L’Africana - di Giacomo Meyerbeer “Vasco de Gama”
U.S.A., New York: Teatro Metropolitan, 11 gennaio.
Andrea Chénier - di Umberto Giordano “Andrea Chénier”
Inghilterra, Londra: Covent Garden: 20 luglio.
1908
Il Trovatore - di Giuseppe Verdi “Manrico”
U.S.A., New York: Teatro Metropolitan, 26 febbraio.
1910
Armide - di Christoph Willibald Gluck “Renaud”
U.S.A., New York: Teatro Metropolitan, 14 novembre.
La fanciulla del West - di Giacomo Puccini “Dick Johnson”
U.S.A., New York: Teatro Metropolitan, 10 dicembre. (*)
1914
Julien - di Gustave Charpentier “Julien”
U.S.A., New York: Teatro Metropolitan, 26 febbraio.
1915
Samson et Dalila - di Camille Saint-Saëns “Samson”
U.S.A., New York: Teatro Metropolitan, 15 novembre.
1917
Lodoletta - di Pietro Mascagni “Flammen”
Argentina, Buenos Aires: Teatro Colón, 29 luglio.
1918
Le Prophète - di Giacomo Meyerbeer “Jean de Leyden”
U.S.A., New York: Teatro Metropolitan, 7 febbraio.
L’amore dei tre re - di Italo Montemezzi “Avito”
U.S.A., New York: Teatro Metropolitan, 14 marzo.
La forza del destino - di Giuseppe Verdi “Don Alvaro”
U.S.A., New York: Teatro Metropolitan, 15 novembre.
1919
La Juive - di Fromental Halévy “Éléazar”
U.S.A., New York: Teatro Metropolitan, 22 novembre.
© Pietro Sandro Beato