Magda Olivero - cronache

MAGDA OLIVERO:

L’ARTISTA

LE SCELTE

IL PERSONAGGIO

 


 

Nell'« Appendice» che integra con ul­teriori studi comparativi il volume Voci parallele (2a ediz., Milano, 1960), Lau­ri Volpi accosta Magda Olivero a Ester Mazzoleni, il soprano dalmata che tra il 1908, epoca del suo esor­dio alla Scala, e il 1920 primeggiò «per eletta intelligenza artistica se non per la voce, un po' tremula » can­tando opere di gran mole (Vestale e Fernando Cortez, Ebrea, NormaAfri­cana eUgonottiLucrezia Borgia, ecc.) e spaziando con singolare efficacia sia nel repertorio verdiano che in quello tardo-romantico (Gioconda, Mefistofe­le, Loreley, Dejanice), senza per altro trascurare il melodramma verista (Cri­stoforo Colombo, Siberia, Tosca, Bo­hème e Suor Angelica) e, all'occasione, provandosi anche in opere nuove, di gusto divergente (La figlia del re di Lualdi, ecc.). « Magda Olivero - pre­cisa Lauri Volpi rilevando nel suo tim­bro quella singolarità analogica - ha una voce meno potente e drammatica ma, donna anch'essa colta e raffinata, ne ripete la spiritualità sonora per de­licatezza di modulazioni e sfumature». È un accostamento valido dunque so­prattutto sul piano della musicalità e della sensibilità interpretativa. Ma indipendentemente da ogni considera­zione sulla sua consistenza critica, è un fatto che quest'accostamento ac­quista quasi il senso di una singolare previsione se si pensa che Ester Maz­zoleni fu la prima interprete della Me­dea di Cherubini in Italia (Scala, 30 dicembre 1909), e Magda Olivero è la sola cantante italiana che dopo di lei abbia affrontato questa parte, una delle più complesse sotto il profilo vo­cale e interpretativo fra quante ne con­ta il melodramma.

La sola italiana contro le dieci can­tanti straniere che si sono misurate finora col personaggio prediletto di Maria Callas (E. Farrell, L Borkh, G. Lammers, R. Gorr, G. Wismar, A. Sgourda, T. Apoley, G. Jones, Z. Hopkins e, ultima in ordine di tem­po, L. Gencer). Magda Olivero vi ha conseguito un successo addirittura tra­volgente; e proprio in quel teatro di Dallas (Civic Opera, 4/10/12 novem­bre 1967) dove nel 1958 la Callas aveva suscitato deliranti entusiasmi con il capolavoro cherubiniano. Suc­cesso rinnovato poi, nella medesima edizione dell'opera e con lo stesso com­plesso di Dallas, direttore Nicola Re­scigno, alla «Performing Arts Foun­dation» di Kansas City (17/19/21 maggio 1968).

È un altro episodio clamoroso, il più inatteso e sorprendente forse, di que­sta carriera già così ricca di esperien­ze e d'affermazioni, e sotto vari aspet­ti così straordinaria.

Un primo incontro di Magda Olivero con il mitico personaggio risaliva al febbraio del 1961, quando, alla Feni­ce di Venezia, era stata Medea in uno dei sette episodi scenici che nei Mondi celesti e infernali di Gian Francesco Malipiero delineano altrettante imma­gini di donna. Per questa Medea, còl­ta nel momento cruciale della sua vi­cenda, Malipiero ha scelto e tradotto una scena di Euripide; creatura vota­ta a ben altro destino melodramma­tico, egli si è limitato a darcene in musica poco più di un'istantanea. Ma la brevità del frammento non impe­disce all'interprete di cogliervi e ri­flettere la suggestione del mito, il ba­gliore sanguigno della tragedia. È un precedente che chiarisce come e in quale occasione sia nata nell'artista la

« simpatia» per questo personaggio. Quanto alla circostanza che l'ha in­dotta ad approfondirne lo studio e a metterlo a fuoco affrontando l'opera di Cherubini, essa si è presentata d'im­provviso e del tutto

inaspettatamente. Fu nel febbraio del 1967, quando Lawrence Kelly, «generai manager» del Civic Opera di Dallas, informando­la che a causa di impreviste difficoltà tecniche non si sarebbe più potuto rea­lizzare il nuovo allestimento della Fan­ciulla del West in programma per la stagione successiva, lei protagonista, le propose appunto di cantarvi Medea. Proposta suggerita e caldeggiata dal direttore artistico, maestro Rescigno, il quale a una Medea interpretata dal­la Olivero pensava da tempo, dopo aver fatto con lei una prima stimo­lante esperienza - sia pur d'altro ge­nere - nella Butterfly concertata e diretta al San Carlo di Napoli (dicem­bre 1961).

Episodio di tutto rilievo nella vicenda artistica di Magda Olivero, anche per­chè con Medea la nostra cantante si è presentata per la prima volta al pub­blico degli Stati Uniti. « Medea da bri­vido », l'ha definita un autorevole « musical editor ». E. John Ardoin ­- il critico che con la sua predilezione per il soprano greco contribuì a fare di Dallas la roccaforte dei callassiani d'America, - riconoscendo sul « Dal­las Morning New » che « Callas o non Callas, Magda Olivero ha dato una personalissima impronta a questo ruo­lo» e che «se il suo modo d'entrare a fondo nel personaggio può essere diverso, il risultato finale ha molto del­la stessa incandescente presa», non esitava a dichiarare che, a suo giudi­zio, «dopo l'abdicazione di Maria Callas, Magda Olivero è la più grande attrice-cantante dei nostri giorni». Es­sa - ha scritto - «è un'artista che sul palcoscenico si dona completamen­te, dominando ogni scena. Non c'è un solo momento in cui perda di vista il personaggio, nel senso in cui lei lo tende. La sua Medea è, all'inizio, cal­da e profondamente femminile: una creatura che non viene per distruggere ma che desidera anzi fino allo spasimo la riconciliazione. Gli ultimi atti di terrore sembrano uscire dalla sua di­sperazione come se lei - e non Gia­sone o Glauce - fosse travolta dalle circostanze. Ma una volta che la sua via è segnata, una volta mosso il primo passo per distruggere Giasone ucci­dendo coloro che egli più ama, essa si trasforma dalla creatura estremamente femminile che era, in maga, e finisce col rivelarsi e trionfare in lei qualcosa di malvagio, di diabolico. A tutto que­sto la Olivero è arrivata in virtù della sua grande intelligenza e grazie alle risorse di quella sua voce così pazza, così strana e così meravigliosa. Una voce diversa da ogni altra. Essa rie­sce a farla aleggiare e vibrare in modo così vivo e cocente da mozzare il fiato, avvolge la frase in una carezza, lam­peggia col bagliore di una fiamma, col­pisce con un'agghiacciante pugnalata. In qualunque modo l'adoperi, ne ha sempre il dominio. Parte della magia che è nel suo canto le viene dal suo intenso "sentire" la parola, il verbo scenico, e dal caleidoscopico uso che ne fa per l'accentuazione e per le sfu­mature. In questo spartito il suo istin­to è infallibile. Ma la Olivero sembra essere, anche, un'artista mai soddisfat­ta di sè; un'artista che cerca conti­nuamente di approfondire e di perfe­zionare, nell'aspirazione a una dram­maticità sempre più vera. La sua razza è rara... ».

Se chiediamo a Magda Olivero qual'è la virtù che le consente di raggiungere puntualmente traguardi sempre più dif­ficili, risponde: «Il grande amore e lo studio costante». E, inoltre, la vo­lontà, l'esperienza, la tecnica. Que­st'ultima specialmente. Giacchè, se è vero che il cantante trova la sua per­sonalità più che nella gola, nella sfera superiore delle sensazioni, dove rim­balza l'impulso lirico, l'organo vocale ne è pur sempre la base, l'elemento condizionatore. Onde, per il cantante, l'antico nosce te ipsum risulta tradot­to così: «Conosci te stesso e la tua gola, ossia la tua anima e il suo stru­mento». Chi intende questa massima sa che una disponibilità lirica è tanto più varia, piena, doviziosa, se si ap­poggia a una precisa conoscenza del fenomeno vocale. Dicevano le famose sorelle Marchisio: «L'artista non de­ve essere schiavo della voce, ma è la voce che deve essere al servizio del­l'artista».

Vocalità, la sua, sorretta da una tec­nica espertissima e dominata da un raro equilibrio psichico e fisiologico, musicalmente virtuosa e vigilata da un gusto severo (non solo essa possiede il dono dello stile, ma - come ha scritto un critico illustre - (attinge dal­le regioni interiori dei valori musicali il suo calore e la sua « stimmung».). E tuttavia condizionata al fremito dei precordi, alla suggestione del perso­naggio nel quale l'interprete - è lei ad affermarlo - deve necessariamen­te credere. Facendo propria una memorabile confessione della Bellincioni, dichiara:  «Se come musicista amo la musica per se stessa - (ho studiato piano­forte, armonia e contrappunto a To­rino, con Ghedini) - come cantan­te amo la musica per quel che essa esprime, per quel tanto di sangue, di carne, di nervi e di cuore che è in una combinazione di note. Non ho potuto mai distaccarmi. dal contenuto umano d'una melodia o di una frase musicale affidata alla mia gola. Indi­viduati gli impulsi psicologici e lirici, le note devono diventare una estrin­secazione dell'anima assorbita dal per­sonaggio. Sono infelice quando le li­nee di questo personaggio mi sfuggo­no. E quando invece le vedo nette o le intuisco d'istinto (come per lo più è accaduto, tanto da arrivare a con­vincermi che i miei personaggi erano già tutti, in embrione, dentro di me) o arrivo per gradi a ravvisarle (è stato il caso di Tosca, l'unico personaggio di Puccini con il quale non ho simpa­tizzato di primo acchito), trovo nel mio spirito e nella mia gola tutto ciò che mi basta per cantare. Il personag­gio è, insomma, come una luce che s'accende dentro... ». E ricorda quel che di lei scrisse Alfano quando, poco più che esordiente, fu per la prima volta Katiuscia in Risurrezione: «El­la vive la parte che interpreta, la vive e la soffre! ».

Ciò spiega come Magda Olivero ab­bia legato le sue più felici esperienze d'artista alla sorte di quei personaggi i cui sentimenti e le cui passioni me­glio corrispondono alla sua emotività teatrale, al suo bisogno di tradurre una totalità di adesione in pienezza espres­siva.

Per un'interprete che riconosce di non poterli fare propri se prima non li ab­bia compresi, amati, sentiti vivere in sè, è difficile parlare di personaggi pre­diletti. Tuttavia, tra i maggiori della sua galleria ve ne sono alcuni che più di altri l'hanno accompagnata nel lun­go viaggio attraverso le scene. A co­minciare, come tutti sappiamo, da Vio­letta e Adriana.

Assommano rispettivamente a oltre duecento le rappresentazioni della Tra­viata e dell'Adriana Lecouvreur di cui Magda Olivero è stata protagonista. Tra le sue prime esecuzioni di Travia­taricordiamo quelle al Comunale di Reggio Emilia e al Regio di Parma nel 1938 (Prima esecuzione all'estero, Li­ceo di Barcellona, dicembre 1956). A misurarsi fin dagli anni giovanili con questa parte fu esortata, fra gli altri, da Cesira Ferrani, la prima Manon e Mimì pucciniana, lei pure piemontese - Magda Olivero è nata a Saluzzo,

la città del Bodoni e del Pellico - e anche lei attrice-cantante di grande talento e donna di vasta cultura. Con­serva una sua lettera nella quale si legge: «Lasci stare tutto, studi per sei mesi la Traviata e poi, con questa sola interpretazione, giri il mondo! ». L'esordio in Adriana ebbe luogo a Ro­ma, - Maurizio, Beniamino Gigli, ­nell'auditorium della Radio; e in tea­tro, col tenore Wesselovski, a Carpi, un mese dopo (novembre 1939): sorta di «prova generale» delle esecuzioni al San Carlo di Napoli, alla Fenice di Venezia, all'Opera di Roma, al Lirico di Milano e al Comunale di Firenze, tutte dell'anno successivo. Le scriveva Cilea: «... La fiducia ch'io ripongo in Lei per l'esecuzione d'Adriana è alimentata e sorretta dal Suo bel talento. Di tutto cuore Le auguro di trionfare ancora e sempre con la mia cara creatura, che è e sarà pure la dolce e appassionata creatura dell'ar­te Sua e del Suo cuore» (Roma, 12 dicembre 1939). Di trionfo già parla­va infatti, concordemente, la critica. (Per intendere quale affermazione vi avesse conseguito, basta rileggere qual­cuno di quei giudizi. Quello di Luigi Colacicchi nel «Popolo di Roma»: «Cilea ha inteso cantare al teatro del­l'Opera le fluenti melodie della sua Adriana dall'interprete più trepida e innamorata, più perdutamente donna che potesse desiderare. Da una crea­tura viva, ardente e trasognata; chè tale è parsa Magda Olivero ancor pri­ma che artista e cantante. Se non te­messimo di venire fraintesi, diremmo che non ci siamo nemmeno chiesti se la voce della. Olivero sia bellissima o no, tanto la sua qualità umana e fem­minile ci hanno colpito e avvinto. Pu­re è un fatto che tanta umanità e fem­minilità, tanta commozione e patetici­tà era proprio la voce della protago­nista a comunicarcele, null'altro che la voce» (21 marzo 1940). E quello di F.L. Lunghi nel «Giornale d'Ita­lia »: «L'arte della Olivero è di quel­le che sono state maturate in profon­dità. Non è possibile ascoltare la tra­gica vicenda di Adriana rivissuta da lei, senza restarne profondamente im­pressionati. È un'artista che ha con­quistato un posto di primo piano e che merita le sia riconosciuto defini­tivamente »). Fra le sue esecuzioni di Adriana all'estero ricordiamo quelle di Lisbona (S. Carlo, marzo 1956), En­ghien (giugno 1957), Madrid (maggio 1961), Caracas (novembre 1961), Fe­stival di Edimburgo (con il complesso del S. Carlo di Napoli, agosto 1963), Rio de Janeiro (Municipal, agosto 1964), Anversa (febbraio 1966) e Du­blino (maggio 1967). A ricordo del trionfo ottenuto con quest'opera a Rio, la Olivero ha dovuto lasciarvi il suo costume di Adriana, che è stato col­locato in una grande teca di cristallo accanto ai cimeli di Titta Ruffo, della Besanzoni e della Muzio nel museo del rinnovato teatro Municipal.

Tra i personaggi da lei più spesso in­terpretati sono da comprendere, ovvia­mente, quelli pucciniani, congeniali al­l'artista per qualità di voce e per tem­peramento. Mimì (tra le sue prime Bohème, Massimo di Palermo, maggio 1938, e Scala, gennaio 1939; all'este­ro: Berna, 1939; quindi Londra, Stoll Theater, 1952); Butterfly (Municipale di Modena, dicembre 1937; all'estero: Parigi, Théâtre des Champs: Elisée, ottobre 1958); Liù («prima» in Turan­dot, Roma, luglio 1937; incisione Ce­tra, con F. Merli e G. Cigna, settem­bre 1938); Manon Lescaut (Sociale di Brescia, febbraio 1938; all'estero: Mo­naco, Wiesbaden, Stoccarda, con il complesso dell'Opera di Roma, giugno 1958; quindi, Il Cairo, marzo 1961). A queste seguono, in ordine di adozione, Suor Angelica (Donizetti di Bergamo, ottobre 1940; all'estero: San Carlos di Lisbona, maggio 1955), Minnie (Fan­ciulla del West all'Opera di Roma, marzo 1957, e al Massimo di Paler­mo, nel centenario pucciniano, agosto 1958; all'estero: Rio de Janeiro, lu­glio 1964) eTosca (RAI, novembre 1957 e Roma, Caracalla, luglio 1959; all'estero: Malta, novembre 1963; Rio, luglio 1964; Vienna, Staatsoper, 1965; Il Cairo e Dallas rispettivamen­te aprile e dicembre 1967; Dublino, giugno 1968). Inoltre, Margherita del Mefistofele di Boito (Massimo di Pa­lermo, aprile 1940; all'estero: Rio de Janeiro, luglio 1964) dopo l'omonima del Faust di Gounod (Comunale di Bologna, novembre 1938), così come la Manon pucciniana dopo quella di Massenet (Municipale di Modena, con B. Gigli, marzo 1937); Iris (celebra­zioni mascagnane, Tr. Goldoni di Li­vorno, direttore G. Gavazzeni, giugno 1951) e Fedora (Bellini di Catania, novembre 1953; all'estero: Oviedo e Bilbao, settembre 1967).

Identificata a tal punto con la loro vita ideale che non ha saputo mai com­pletamente separarne la propria. Nem­meno quando, impostasi poco prima del suo matrimonio di lasciare le sce­ne, interruppe la carriera e tenne quel volontario impegno per un decennio. Furono i suoi personaggi a richiamar­la. E uno in particolare: Adriana. Quello con il quale l'identificazione dell'artista è più totale.

Racconta: «Nel maggio del '41, pros­sima alle nozze, avevo preso commia­to dal pubblico cantando appunto Adriana all'Alighieri di Ravenna. La decisione di lasciare le scene non era dovuta tanto alla mia nuova condi­zione, quanto al graduale accentuarsi di una crisi interiore ormai annosa. Qualcuno volle darne una versione ro­manzesca, ma non si trattava in realtà che del desiderio di separare in me il mondo della musica, che mai avrei potuto abbandonare e che in effetti mai abbandonai, da quello del teatro. Du­rante la guerra e negli anni successivi mi impegnai a svolgere, per la Croce Rossa e per altri enti assistenziali, vere e proprie tournées di concerti negli ospedali, nei sanatori, nei convalescen­ziari militari e civili. Qualche volta i giornali ne parlavano; e quando si ria­prirono i teatri per le prime stagioni liriche, cominciarono ad arrivarmi in­viti ed esortazioni a riprendere l'atti­vità. Ricordo anzi che uno degli amici più insistenti era il maestro Serafin, allora direttore artistico alla Scala. Ri­tenevo giusto fare della mia arte quel benefico impiego, ma non pensavo af­fatto di riprendere la carriera. Mi di­spiaceva anzi che dietro quegli atti di solidarietà umana si potesse supporre un certo richiamo nostalgico. Nella primavera del '50, ricevetti una lettera di Cilea. Il maestro esprimeva il desi­derio di rivedermi sulla scena, prota­gonista della sua opera. E m'esortava: "Un artista ha obblighi ben precisi verso il pubblico e verso la propria arte. Si vengono ricostruendo i teatri, ma la gente va rieducata all'amore del bello, e le voci scarseggiano. Ciascuno di noi è premuto da istanze spiritual­mente perentorie... ". Riflettei a lungo su quelle parole, ma per il momento non risposi. L'esortazione però non era caduta nel vuoto. Mi sorprendevo a pensare: il maestro ha ragione, e forse la mia reticenza non è in realtà che l'espressione di un assurdo formalismo. Fu una telefonata di Ostali, proprie­tario della Casa Musicale Sonzogno, a decidermi. Mi disse che Cilea gli aveva scritto accorato e deluso per la mia mancata risposta. " Sono vecchio e malato, potrei andarmene da un gior­no all'altro: perchè Magda Olivero mi vuoI negare quest'ultima gioia? Insisti anche tu presso l'artista. Chiedile che almeno per una volta mi consenta di riascoltare Adriana interpretata da lei...". Come avrei potuto rifiutare? Scrissi finalmente al maestro che ave­vo deciso. Dopo dieci anni, mi sarei ripresentata al pubblico: "umile an­cella" della sua musica. Feci la mia rentrée con l'Adriana, la sera del 3 feb­braio 1951, al teatro Grande di Bre­scia. Non arrossisco dicendo che l'esi­to fu trionfale. Dopo quella serata non mi sarebbe più stato possibile tornare alla mia rinunzia di un tempo. Pur­troppo Cilea non potè condividere la commozione dell'interprete. Si era spento due mesi prima. A lui dedicai e a lui debbo il mio ritorno alla scena. Non ho deluso, in coscienza, la fidu­cia riposta in me dal maestro. Ho can­tato Adriana nei maggiori teatri del mondo, con la soddisfazione di veder­ne ogni volta rinnovato il successo e attestata la vitalità». 

Se dal proprio istinto drammatico Magda Olivero è stata indotta a pun­tare prevalentemente sul repertorio ve­rista e tardo-romantico - oltrechè su opere come Traviata e Faust che nel quadro del melodramma ottocentesco anticipano aspetti e caratteri di un poe­tico intimismo realistico, - essa non ha tuttavia trascurato di provarsi, al­l'occasione, nelle esperienze più varie (L'Incoronazione di Poppea, Il ballo delle ingrate, Combattimento di Tan­credi e Clorinda di Monteverdi, ri­spettivamente a Firenze, Cremona e Trieste nel 1937; Don Giovanni [Zer­lina] a Torino nel 1938; Penelope di Carvalho [prima riesumazione dal 1782] al San Carlos di Lisbona nel maggio 1955; e ancora Il cavaliere della rosa[Sofia] a Radio Torino, direttore Serafin; Lohengrin all'Opera di Roma, direttore Serafin, nel marzo 1937; Mazepa di Ciaikovski al XVII Maggio Mus. Fiorentino, 1954; ecc.). E ha mostrato un costante interesse per la produzione contemporanea. Ese­guendo nella prima fase della sua car­riera opere di Alfano (oltre a Risur­rezione, ripresa poi a Torino nel no­vembre 1956 e al San Carlos di Lisbo­na nell'aprile 1961, L'ultimo Lord alla Radio di Roma nell'ottobre 1938, Cy­rano de Bergerac [in « prima» locale] a Torino nel maggio 1939, e La leg­genda di Sakuntala all'Opera di Roma nel gennaio del '40), Wolf-Ferrari (L'amore medico alla Radio Ital.; Il campiello a Torino, Trieste e Venezia [prime esec. locali] rispettivamente nel 1937, '38 e '39; I quattro rusteghi al Comunale di Trieste nel marzo 1940 [ripresi poi in molti teatri e, all'estero, al San Carlos di Lisbona nel maggio 1954]), Zandonai (Francesca da Rimi­ni a Torino, direttore Serafin, nel mag­gio 1940 [poi alla Scala, con Del Mo­naco, direttore Gavazzeni, nel maggio 1959]) e Giulietta e Romeo all'Opera di Roma nel marzo 1941; quindi, con lo stesso complesso romano, il mese successivo, al Charlottenburg di Ber­lino), Pick Mangiagalli (Notturno ro­mantico in prima rapp. al Massimo di Palermo, nel maggio 1938), Lattua­da (La caverna di Salamancain « pri­ma assoluta» al Carlo Felice di Geno­va, marzo 1938), Mulé (La monacella della fontana al Comunale di Bologna, diretta dall'autore, nel dicembre 1938, e al Comunale di Firenze nell'ottobre '39), La Rosa Parodi (Il mercante e l'avvocato alla Radio Ital., e Cleopatra al Regio di Parma nel gennaio 1940), Cattozzo (I misteri gaudiosi a Torino), Honegger e Ibert (L'Aiglon al San Car­lo di Napoli, il 26 febbraio 1939: la sola «prova generale», chè la rap­presentazione fu vietata per ordine superiore; l'opera, il cui quarto atto si chiude al canto della Marsigliese, par­ve inopportuna dato l'inasprirsi delle relazioni franco-italiane. Ricorda Pan­nain, che ebbe la ventura di assistervi:

« Nelle vesti maschili del protagonista, Magda Olivero riuscì a modulare ac­centi di non so quale angosciosa ma­linconia... »). E, dopo il suo ritorno alla scena, interpretando opere di au­tori d'ogni tendenza, da Rossellini (Marta ne La Guerra, in «prima as­soluta» al S. Carlo di Napoli nel feb­braio 1956, e in «prima» locale a Roma, Trieste, Palermo, Bologna, Ge­nova, ecc.; e all'estero: Lisbona, Cai­ro, Helsinky) a Menotti (La Medium al teatro di Stato di Helsinky, nel giu­gno 1961), da Langella (Assunta Spi­na alla RAI, maggio 1958) a Testi (La Celestina [Melibea], Maggio Mus. Fiorentino 1963, prima esec. assolu­ta), da G.F. Malipiero (oltre ai citati Mondi celesti e infernali, l'Orfeide al Maggio Mus. Fiorentino nel 1966, con Scherchen, e - dal contesto di quella - le Sette canzoni al Massimo di Pa­lermo nel 1967, che l'avranno interprete de « La madre» anche quest'an­no, al Festival di Edimburgo) a Pou­lenc (I dialoghi delle Carmelitane ­Suor Maria e La superiora - all'Ope­ra di Roma, al Bellini di Catania, al Massimo di Palermo fra il 1958 e il '64; La voce umana al Verdi di Trie­ste nel gennaio dello scorso anno e ora al Comunale di Firenze e nel prossimo marzo all'E. Regio di To­rino).

Magda Olivero afferma di avere impa­rato, tra l'altro, dal suo maestro - il triestino Luigi Gerussi, insigne didatta e musicista di severa coscienza, - a nutrire per gli autori il massimo ri­spetto, quel rispetto che in lei finisce sempre col tradursi in appassionata dedizione. Ma da sè, dal proprio sen­timento dell'arte, ha appreso anche di più: a considerare l'impegno dell'in­terprete alla stregua di una missione, ossia ad «amare il pubblico non me­no che gli autori». «È una grande, inesprimibile gioia poter sentire, quan­do si canta, l'anima dell'uditorio so­spesa alla nostra commozione. E non c'è, mi creda, miglior compenso alla nostra fatica, del sapere che per no­stro mezzo la musica può esercitare, ancora e sempre, questa benefica misteriosa suggestione».

 

Di Mario Morini - dalla rivista DISCOTECA del Gennaio/febbraio 1969.

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