MAGDA OLIVERO:
L’ARTISTA
LE SCELTE
IL PERSONAGGIO
Nell'« Appendice» che integra con ulteriori studi comparativi il volume Voci parallele (2a ediz., Milano, 1960), Lauri Volpi accosta Magda Olivero a Ester Mazzoleni, il soprano dalmata che tra il 1908, epoca del suo esordio alla Scala, e il 1920 primeggiò «per eletta intelligenza artistica se non per la voce, un po' tremula » cantando opere di gran mole (Vestale e Fernando Cortez, Ebrea, Norma, Africana eUgonotti, Lucrezia Borgia, ecc.) e spaziando con singolare efficacia sia nel repertorio verdiano che in quello tardo-romantico (Gioconda, Mefistofele, Loreley, Dejanice), senza per altro trascurare il melodramma verista (Cristoforo Colombo, Siberia, Tosca, Bohème e Suor Angelica) e, all'occasione, provandosi anche in opere nuove, di gusto divergente (La figlia del re di Lualdi, ecc.). « Magda Olivero - precisa Lauri Volpi rilevando nel suo timbro quella singolarità analogica - ha una voce meno potente e drammatica ma, donna anch'essa colta e raffinata, ne ripete la spiritualità sonora per delicatezza di modulazioni e sfumature». È un accostamento valido dunque soprattutto sul piano della musicalità e della sensibilità interpretativa. Ma indipendentemente da ogni considerazione sulla sua consistenza critica, è un fatto che quest'accostamento acquista quasi il senso di una singolare previsione se si pensa che Ester Mazzoleni fu la prima interprete della Medea di Cherubini in Italia (Scala, 30 dicembre 1909), e Magda Olivero è la sola cantante italiana che dopo di lei abbia affrontato questa parte, una delle più complesse sotto il profilo vocale e interpretativo fra quante ne conta il melodramma.
La sola italiana contro le dieci cantanti straniere che si sono misurate finora col personaggio prediletto di Maria Callas (E. Farrell, L Borkh, G. Lammers, R. Gorr, G. Wismar, A. Sgourda, T. Apoley, G. Jones, Z. Hopkins e, ultima in ordine di tempo, L. Gencer). Magda Olivero vi ha conseguito un successo addirittura travolgente; e proprio in quel teatro di Dallas (Civic Opera, 4/10/12 novembre 1967) dove nel 1958 la Callas aveva suscitato deliranti entusiasmi con il capolavoro cherubiniano. Successo rinnovato poi, nella medesima edizione dell'opera e con lo stesso complesso di Dallas, direttore Nicola Rescigno, alla «Performing Arts Foundation» di Kansas City (17/19/21 maggio 1968).
È un altro episodio clamoroso, il più inatteso e sorprendente forse, di questa carriera già così ricca di esperienze e d'affermazioni, e sotto vari aspetti così straordinaria.
Un primo incontro di Magda Olivero con il mitico personaggio risaliva al febbraio del 1961, quando, alla Fenice di Venezia, era stata Medea in uno dei sette episodi scenici che nei Mondi celesti e infernali di Gian Francesco Malipiero delineano altrettante immagini di donna. Per questa Medea, còlta nel momento cruciale della sua vicenda, Malipiero ha scelto e tradotto una scena di Euripide; creatura votata a ben altro destino melodrammatico, egli si è limitato a darcene in musica poco più di un'istantanea. Ma la brevità del frammento non impedisce all'interprete di cogliervi e riflettere la suggestione del mito, il bagliore sanguigno della tragedia. È un precedente che chiarisce come e in quale occasione sia nata nell'artista la
« simpatia» per questo personaggio. Quanto alla circostanza che l'ha indotta ad approfondirne lo studio e a metterlo a fuoco affrontando l'opera di Cherubini, essa si è presentata d'improvviso e del tutto
inaspettatamente. Fu nel febbraio del 1967, quando Lawrence Kelly, «generai manager» del Civic Opera di Dallas, informandola che a causa di impreviste difficoltà tecniche non si sarebbe più potuto realizzare il nuovo allestimento della Fanciulla del West in programma per la stagione successiva, lei protagonista, le propose appunto di cantarvi Medea. Proposta suggerita e caldeggiata dal direttore artistico, maestro Rescigno, il quale a una Medea interpretata dalla Olivero pensava da tempo, dopo aver fatto con lei una prima stimolante esperienza - sia pur d'altro genere - nella Butterfly concertata e diretta al San Carlo di Napoli (dicembre 1961).
Episodio di tutto rilievo nella vicenda artistica di Magda Olivero, anche perchè con Medea la nostra cantante si è presentata per la prima volta al pubblico degli Stati Uniti. « Medea da brivido », l'ha definita un autorevole « musical editor ». E. John Ardoin - il critico che con la sua predilezione per il soprano greco contribuì a fare di Dallas la roccaforte dei callassiani d'America, - riconoscendo sul « Dallas Morning New » che « Callas o non Callas, Magda Olivero ha dato una personalissima impronta a questo ruolo» e che «se il suo modo d'entrare a fondo nel personaggio può essere diverso, il risultato finale ha molto della stessa incandescente presa», non esitava a dichiarare che, a suo giudizio, «dopo l'abdicazione di Maria Callas, Magda Olivero è la più grande attrice-cantante dei nostri giorni». Essa - ha scritto - «è un'artista che sul palcoscenico si dona completamente, dominando ogni scena. Non c'è un solo momento in cui perda di vista il personaggio, nel senso in cui lei lo tende. La sua Medea è, all'inizio, calda e profondamente femminile: una creatura che non viene per distruggere ma che desidera anzi fino allo spasimo la riconciliazione. Gli ultimi atti di terrore sembrano uscire dalla sua disperazione come se lei - e non Giasone o Glauce - fosse travolta dalle circostanze. Ma una volta che la sua via è segnata, una volta mosso il primo passo per distruggere Giasone uccidendo coloro che egli più ama, essa si trasforma dalla creatura estremamente femminile che era, in maga, e finisce col rivelarsi e trionfare in lei qualcosa di malvagio, di diabolico. A tutto questo la Olivero è arrivata in virtù della sua grande intelligenza e grazie alle risorse di quella sua voce così pazza, così strana e così meravigliosa. Una voce diversa da ogni altra. Essa riesce a farla aleggiare e vibrare in modo così vivo e cocente da mozzare il fiato, avvolge la frase in una carezza, lampeggia col bagliore di una fiamma, colpisce con un'agghiacciante pugnalata. In qualunque modo l'adoperi, ne ha sempre il dominio. Parte della magia che è nel suo canto le viene dal suo intenso "sentire" la parola, il verbo scenico, e dal caleidoscopico uso che ne fa per l'accentuazione e per le sfumature. In questo spartito il suo istinto è infallibile. Ma la Olivero sembra essere, anche, un'artista mai soddisfatta di sè; un'artista che cerca continuamente di approfondire e di perfezionare, nell'aspirazione a una drammaticità sempre più vera. La sua razza è rara... ».
Se chiediamo a Magda Olivero qual'è la virtù che le consente di raggiungere puntualmente traguardi sempre più difficili, risponde: «Il grande amore e lo studio costante». E, inoltre, la volontà, l'esperienza, la tecnica. Quest'ultima specialmente. Giacchè, se è vero che il cantante trova la sua personalità più che nella gola, nella sfera superiore delle sensazioni, dove rimbalza l'impulso lirico, l'organo vocale ne è pur sempre la base, l'elemento condizionatore. Onde, per il cantante, l'antico nosce te ipsum risulta tradotto così: «Conosci te stesso e la tua gola, ossia la tua anima e il suo strumento». Chi intende questa massima sa che una disponibilità lirica è tanto più varia, piena, doviziosa, se si appoggia a una precisa conoscenza del fenomeno vocale. Dicevano le famose sorelle Marchisio: «L'artista non deve essere schiavo della voce, ma è la voce che deve essere al servizio dell'artista».
Vocalità, la sua, sorretta da una tecnica espertissima e dominata da un raro equilibrio psichico e fisiologico, musicalmente virtuosa e vigilata da un gusto severo (non solo essa possiede il dono dello stile, ma - come ha scritto un critico illustre - (attinge dalle regioni interiori dei valori musicali il suo calore e la sua « stimmung».). E tuttavia condizionata al fremito dei precordi, alla suggestione del personaggio nel quale l'interprete - è lei ad affermarlo - deve necessariamente credere. Facendo propria una memorabile confessione della Bellincioni, dichiara: «Se come musicista amo la musica per se stessa - (ho studiato pianoforte, armonia e contrappunto a Torino, con Ghedini) - come cantante amo la musica per quel che essa esprime, per quel tanto di sangue, di carne, di nervi e di cuore che è in una combinazione di note. Non ho potuto mai distaccarmi. dal contenuto umano d'una melodia o di una frase musicale affidata alla mia gola. Individuati gli impulsi psicologici e lirici, le note devono diventare una estrinsecazione dell'anima assorbita dal personaggio. Sono infelice quando le linee di questo personaggio mi sfuggono. E quando invece le vedo nette o le intuisco d'istinto (come per lo più è accaduto, tanto da arrivare a convincermi che i miei personaggi erano già tutti, in embrione, dentro di me) o arrivo per gradi a ravvisarle (è stato il caso di Tosca, l'unico personaggio di Puccini con il quale non ho simpatizzato di primo acchito), trovo nel mio spirito e nella mia gola tutto ciò che mi basta per cantare. Il personaggio è, insomma, come una luce che s'accende dentro... ». E ricorda quel che di lei scrisse Alfano quando, poco più che esordiente, fu per la prima volta Katiuscia in Risurrezione: «Ella vive la parte che interpreta, la vive e la soffre! ».
Ciò spiega come Magda Olivero abbia legato le sue più felici esperienze d'artista alla sorte di quei personaggi i cui sentimenti e le cui passioni meglio corrispondono alla sua emotività teatrale, al suo bisogno di tradurre una totalità di adesione in pienezza espressiva.
Per un'interprete che riconosce di non poterli fare propri se prima non li abbia compresi, amati, sentiti vivere in sè, è difficile parlare di personaggi prediletti. Tuttavia, tra i maggiori della sua galleria ve ne sono alcuni che più di altri l'hanno accompagnata nel lungo viaggio attraverso le scene. A cominciare, come tutti sappiamo, da Violetta e Adriana.
Assommano rispettivamente a oltre duecento le rappresentazioni della Traviata e dell'Adriana Lecouvreur di cui Magda Olivero è stata protagonista. Tra le sue prime esecuzioni di Traviataricordiamo quelle al Comunale di Reggio Emilia e al Regio di Parma nel 1938 (Prima esecuzione all'estero, Liceo di Barcellona, dicembre 1956). A misurarsi fin dagli anni giovanili con questa parte fu esortata, fra gli altri, da Cesira Ferrani, la prima Manon e Mimì pucciniana, lei pure piemontese - Magda Olivero è nata a Saluzzo,
la città del Bodoni e del Pellico - e anche lei attrice-cantante di grande talento e donna di vasta cultura. Conserva una sua lettera nella quale si legge: «Lasci stare tutto, studi per sei mesi la Traviata e poi, con questa sola interpretazione, giri il mondo! ». L'esordio in Adriana ebbe luogo a Roma, - Maurizio, Beniamino Gigli, nell'auditorium della Radio; e in teatro, col tenore Wesselovski, a Carpi, un mese dopo (novembre 1939): sorta di «prova generale» delle esecuzioni al San Carlo di Napoli, alla Fenice di Venezia, all'Opera di Roma, al Lirico di Milano e al Comunale di Firenze, tutte dell'anno successivo. Le scriveva Cilea: «... La fiducia ch'io ripongo in Lei per l'esecuzione d'Adriana è alimentata e sorretta dal Suo bel talento. Di tutto cuore Le auguro di trionfare ancora e sempre con la mia cara creatura, che è e sarà pure la dolce e appassionata creatura dell'arte Sua e del Suo cuore» (Roma, 12 dicembre 1939). Di trionfo già parlava infatti, concordemente, la critica. (Per intendere quale affermazione vi avesse conseguito, basta rileggere qualcuno di quei giudizi. Quello di Luigi Colacicchi nel «Popolo di Roma»: «Cilea ha inteso cantare al teatro dell'Opera le fluenti melodie della sua Adriana dall'interprete più trepida e innamorata, più perdutamente donna che potesse desiderare. Da una creatura viva, ardente e trasognata; chè tale è parsa Magda Olivero ancor prima che artista e cantante. Se non temessimo di venire fraintesi, diremmo che non ci siamo nemmeno chiesti se la voce della. Olivero sia bellissima o no, tanto la sua qualità umana e femminile ci hanno colpito e avvinto. Pure è un fatto che tanta umanità e femminilità, tanta commozione e pateticità era proprio la voce della protagonista a comunicarcele, null'altro che la voce» (21 marzo 1940). E quello di F.L. Lunghi nel «Giornale d'Italia »: «L'arte della Olivero è di quelle che sono state maturate in profondità. Non è possibile ascoltare la tragica vicenda di Adriana rivissuta da lei, senza restarne profondamente impressionati. È un'artista che ha conquistato un posto di primo piano e che merita le sia riconosciuto definitivamente »). Fra le sue esecuzioni di Adriana all'estero ricordiamo quelle di Lisbona (S. Carlo, marzo 1956), Enghien (giugno 1957), Madrid (maggio 1961), Caracas (novembre 1961), Festival di Edimburgo (con il complesso del S. Carlo di Napoli, agosto 1963), Rio de Janeiro (Municipal, agosto 1964), Anversa (febbraio 1966) e Dublino (maggio 1967). A ricordo del trionfo ottenuto con quest'opera a Rio, la Olivero ha dovuto lasciarvi il suo costume di Adriana, che è stato collocato in una grande teca di cristallo accanto ai cimeli di Titta Ruffo, della Besanzoni e della Muzio nel museo del rinnovato teatro Municipal.
Tra i personaggi da lei più spesso interpretati sono da comprendere, ovviamente, quelli pucciniani, congeniali all'artista per qualità di voce e per temperamento. Mimì (tra le sue prime Bohème, Massimo di Palermo, maggio 1938, e Scala, gennaio 1939; all'estero: Berna, 1939; quindi Londra, Stoll Theater, 1952); Butterfly (Municipale di Modena, dicembre 1937; all'estero: Parigi, Théâtre des Champs: Elisée, ottobre 1958); Liù («prima» in Turandot, Roma, luglio 1937; incisione Cetra, con F. Merli e G. Cigna, settembre 1938); Manon Lescaut (Sociale di Brescia, febbraio 1938; all'estero: Monaco, Wiesbaden, Stoccarda, con il complesso dell'Opera di Roma, giugno 1958; quindi, Il Cairo, marzo 1961). A queste seguono, in ordine di adozione, Suor Angelica (Donizetti di Bergamo, ottobre 1940; all'estero: San Carlos di Lisbona, maggio 1955), Minnie (Fanciulla del West all'Opera di Roma, marzo 1957, e al Massimo di Palermo, nel centenario pucciniano, agosto 1958; all'estero: Rio de Janeiro, luglio 1964) eTosca (RAI, novembre 1957 e Roma, Caracalla, luglio 1959; all'estero: Malta, novembre 1963; Rio, luglio 1964; Vienna, Staatsoper, 1965; Il Cairo e Dallas rispettivamente aprile e dicembre 1967; Dublino, giugno 1968). Inoltre, Margherita del Mefistofele di Boito (Massimo di Palermo, aprile 1940; all'estero: Rio de Janeiro, luglio 1964) dopo l'omonima del Faust di Gounod (Comunale di Bologna, novembre 1938), così come la Manon pucciniana dopo quella di Massenet (Municipale di Modena, con B. Gigli, marzo 1937); Iris (celebrazioni mascagnane, Tr. Goldoni di Livorno, direttore G. Gavazzeni, giugno 1951) e Fedora (Bellini di Catania, novembre 1953; all'estero: Oviedo e Bilbao, settembre 1967).
Identificata a tal punto con la loro vita ideale che non ha saputo mai completamente separarne la propria. Nemmeno quando, impostasi poco prima del suo matrimonio di lasciare le scene, interruppe la carriera e tenne quel volontario impegno per un decennio. Furono i suoi personaggi a richiamarla. E uno in particolare: Adriana. Quello con il quale l'identificazione dell'artista è più totale.
Racconta: «Nel maggio del '41, prossima alle nozze, avevo preso commiato dal pubblico cantando appunto Adriana all'Alighieri di Ravenna. La decisione di lasciare le scene non era dovuta tanto alla mia nuova condizione, quanto al graduale accentuarsi di una crisi interiore ormai annosa. Qualcuno volle darne una versione romanzesca, ma non si trattava in realtà che del desiderio di separare in me il mondo della musica, che mai avrei potuto abbandonare e che in effetti mai abbandonai, da quello del teatro. Durante la guerra e negli anni successivi mi impegnai a svolgere, per la Croce Rossa e per altri enti assistenziali, vere e proprie tournées di concerti negli ospedali, nei sanatori, nei convalescenziari militari e civili. Qualche volta i giornali ne parlavano; e quando si riaprirono i teatri per le prime stagioni liriche, cominciarono ad arrivarmi inviti ed esortazioni a riprendere l'attività. Ricordo anzi che uno degli amici più insistenti era il maestro Serafin, allora direttore artistico alla Scala. Ritenevo giusto fare della mia arte quel benefico impiego, ma non pensavo affatto di riprendere la carriera. Mi dispiaceva anzi che dietro quegli atti di solidarietà umana si potesse supporre un certo richiamo nostalgico. Nella primavera del '50, ricevetti una lettera di Cilea. Il maestro esprimeva il desiderio di rivedermi sulla scena, protagonista della sua opera. E m'esortava: "Un artista ha obblighi ben precisi verso il pubblico e verso la propria arte. Si vengono ricostruendo i teatri, ma la gente va rieducata all'amore del bello, e le voci scarseggiano. Ciascuno di noi è premuto da istanze spiritualmente perentorie... ". Riflettei a lungo su quelle parole, ma per il momento non risposi. L'esortazione però non era caduta nel vuoto. Mi sorprendevo a pensare: il maestro ha ragione, e forse la mia reticenza non è in realtà che l'espressione di un assurdo formalismo. Fu una telefonata di Ostali, proprietario della Casa Musicale Sonzogno, a decidermi. Mi disse che Cilea gli aveva scritto accorato e deluso per la mia mancata risposta. " Sono vecchio e malato, potrei andarmene da un giorno all'altro: perchè Magda Olivero mi vuoI negare quest'ultima gioia? Insisti anche tu presso l'artista. Chiedile che almeno per una volta mi consenta di riascoltare Adriana interpretata da lei...". Come avrei potuto rifiutare? Scrissi finalmente al maestro che avevo deciso. Dopo dieci anni, mi sarei ripresentata al pubblico: "umile ancella" della sua musica. Feci la mia rentrée con l'Adriana, la sera del 3 febbraio 1951, al teatro Grande di Brescia. Non arrossisco dicendo che l'esito fu trionfale. Dopo quella serata non mi sarebbe più stato possibile tornare alla mia rinunzia di un tempo. Purtroppo Cilea non potè condividere la commozione dell'interprete. Si era spento due mesi prima. A lui dedicai e a lui debbo il mio ritorno alla scena. Non ho deluso, in coscienza, la fiducia riposta in me dal maestro. Ho cantato Adriana nei maggiori teatri del mondo, con la soddisfazione di vederne ogni volta rinnovato il successo e attestata la vitalità».
Se dal proprio istinto drammatico Magda Olivero è stata indotta a puntare prevalentemente sul repertorio verista e tardo-romantico - oltrechè su opere come Traviata e Faust che nel quadro del melodramma ottocentesco anticipano aspetti e caratteri di un poetico intimismo realistico, - essa non ha tuttavia trascurato di provarsi, all'occasione, nelle esperienze più varie (L'Incoronazione di Poppea, Il ballo delle ingrate, Combattimento di Tancredi e Clorinda di Monteverdi, rispettivamente a Firenze, Cremona e Trieste nel 1937; Don Giovanni [Zerlina] a Torino nel 1938; Penelope di Carvalho [prima riesumazione dal 1782] al San Carlos di Lisbona nel maggio 1955; e ancora Il cavaliere della rosa[Sofia] a Radio Torino, direttore Serafin; Lohengrin all'Opera di Roma, direttore Serafin, nel marzo 1937; Mazepa di Ciaikovski al XVII Maggio Mus. Fiorentino, 1954; ecc.). E ha mostrato un costante interesse per la produzione contemporanea. Eseguendo nella prima fase della sua carriera opere di Alfano (oltre a Risurrezione, ripresa poi a Torino nel novembre 1956 e al San Carlos di Lisbona nell'aprile 1961, L'ultimo Lord alla Radio di Roma nell'ottobre 1938, Cyrano de Bergerac [in « prima» locale] a Torino nel maggio 1939, e La leggenda di Sakuntala all'Opera di Roma nel gennaio del '40), Wolf-Ferrari (L'amore medico alla Radio Ital.; Il campiello a Torino, Trieste e Venezia [prime esec. locali] rispettivamente nel 1937, '38 e '39; I quattro rusteghi al Comunale di Trieste nel marzo 1940 [ripresi poi in molti teatri e, all'estero, al San Carlos di Lisbona nel maggio 1954]), Zandonai (Francesca da Rimini a Torino, direttore Serafin, nel maggio 1940 [poi alla Scala, con Del Monaco, direttore Gavazzeni, nel maggio 1959]) e Giulietta e Romeo all'Opera di Roma nel marzo 1941; quindi, con lo stesso complesso romano, il mese successivo, al Charlottenburg di Berlino), Pick Mangiagalli (Notturno romantico in prima rapp. al Massimo di Palermo, nel maggio 1938), Lattuada (La caverna di Salamancain « prima assoluta» al Carlo Felice di Genova, marzo 1938), Mulé (La monacella della fontana al Comunale di Bologna, diretta dall'autore, nel dicembre 1938, e al Comunale di Firenze nell'ottobre '39), La Rosa Parodi (Il mercante e l'avvocato alla Radio Ital., e Cleopatra al Regio di Parma nel gennaio 1940), Cattozzo (I misteri gaudiosi a Torino), Honegger e Ibert (L'Aiglon al San Carlo di Napoli, il 26 febbraio 1939: la sola «prova generale», chè la rappresentazione fu vietata per ordine superiore; l'opera, il cui quarto atto si chiude al canto della Marsigliese, parve inopportuna dato l'inasprirsi delle relazioni franco-italiane. Ricorda Pannain, che ebbe la ventura di assistervi:
« Nelle vesti maschili del protagonista, Magda Olivero riuscì a modulare accenti di non so quale angosciosa malinconia... »). E, dopo il suo ritorno alla scena, interpretando opere di autori d'ogni tendenza, da Rossellini (Marta ne La Guerra, in «prima assoluta» al S. Carlo di Napoli nel febbraio 1956, e in «prima» locale a Roma, Trieste, Palermo, Bologna, Genova, ecc.; e all'estero: Lisbona, Cairo, Helsinky) a Menotti (La Medium al teatro di Stato di Helsinky, nel giugno 1961), da Langella (Assunta Spina alla RAI, maggio 1958) a Testi (La Celestina [Melibea], Maggio Mus. Fiorentino 1963, prima esec. assoluta), da G.F. Malipiero (oltre ai citati Mondi celesti e infernali, l'Orfeide al Maggio Mus. Fiorentino nel 1966, con Scherchen, e - dal contesto di quella - le Sette canzoni al Massimo di Palermo nel 1967, che l'avranno interprete de « La madre» anche quest'anno, al Festival di Edimburgo) a Poulenc (I dialoghi delle Carmelitane Suor Maria e La superiora - all'Opera di Roma, al Bellini di Catania, al Massimo di Palermo fra il 1958 e il '64; La voce umana al Verdi di Trieste nel gennaio dello scorso anno e ora al Comunale di Firenze e nel prossimo marzo all'E. Regio di Torino).
Magda Olivero afferma di avere imparato, tra l'altro, dal suo maestro - il triestino Luigi Gerussi, insigne didatta e musicista di severa coscienza, - a nutrire per gli autori il massimo rispetto, quel rispetto che in lei finisce sempre col tradursi in appassionata dedizione. Ma da sè, dal proprio sentimento dell'arte, ha appreso anche di più: a considerare l'impegno dell'interprete alla stregua di una missione, ossia ad «amare il pubblico non meno che gli autori». «È una grande, inesprimibile gioia poter sentire, quando si canta, l'anima dell'uditorio sospesa alla nostra commozione. E non c'è, mi creda, miglior compenso alla nostra fatica, del sapere che per nostro mezzo la musica può esercitare, ancora e sempre, questa benefica misteriosa suggestione».
Di Mario Morini - dalla rivista DISCOTECA del Gennaio/febbraio 1969.